Le cucine hanno gli occhi

Le cucine hanno gli occhi

Primo giorno di lavoro.

Primo giorno da stagista. Non ho idea di cosa mi aspetta, mentre un mio collega, che ha le mie stesse splendide condizioni lavorative, mi illustra la cucina e le mie mansioni.
Dice che ha vent’anni, potrebbe averne dieci in più. La sua faccia è stanca, la pelle tesa e rovinata. Lo sguardo è spento, neutro. Continua a parlare, tutte cose che sto già dimenticando mentre me le dice.
Continuo a fare di si con la testa.
Sembra un capitano che “accoglie” le reclute appena arrivate in un accampamento di guerra. “Qui ti rompi il culo. Non hai vita. Starai sempre qua dentro.”
Mi dice “E in più verrai continuamente trattato di merda. Anche dagli altri stagisti, finchè sei l’ultimo arrivato.”
Un inizio incoraggiante. “E poi c’è questo” Dà una manata su un foglio appiccicato al muro.
Una tabella con nomi, i nostri, e una serie di compiti “Ogni settimana” mi spiega “ti dovrai occupare di una di queste cose. E lo devi fare nei ritagli di tempo, perchè devi comunque fare tutte le altre cose, ok? Non puoi dire che non hai fatto una preparazione perchè dovevi pulire il magazzino, ok? Se stai al lavaggio devi stare anche al servizio. Chiaro?”
“Trasparente!” rispondo mentre strizzo gli occhi per mettere a fuoco la tabella.
Mi aiuta a leggerla, perchè a quanto pare stiamo già perdendo troppo tempo: abbiamo attaccato alle 10.00 e sono già le 10.15.
Come se fosse la lista della spesa, senza la minima alterazione di voce, facendo traspirare solo una punta di ansia e nervosismo:“Buttare l’immondizia, mettere a posto e pulire il magazzino, lavaggio pentole, sistemare il giardino, pulire i pavimenti e prendere l’acqua di mare” e fa per andarsene.
“L’acqua di mare?” chiedo, provando a fermarlo “Sì vabbè poi quando lo dovrai fare qualcuno te lo spiegherà…” e mi abbandona.
Non ho capito niente. Vedo il mio nome sotto la colonna “lavaggio”. Dovrò lavare i piatti. Dovrò fare un sacco di altre cose. Una confusione pazzesca. Mi guardo intorno. Sono già tutti troppo indaffarati. Tutti che corrono. Tutti a testa bassa.
“Dai sbrigati!” Una mano mi afferra per un braccio e mi lancia in questo mare in tempesta.
Sono passati due mesi. Ora ho capito. Ora sono come loro, gli altri stagisti. Ondeggiamo tutti insieme, coordinati, ammaestrati. Sguardo neutro. Faccia dura e stravolta. Testa bassa. Lavoriamo 16 ore al giorno, tutti i giorni. Tutto gratis.
Esultiamo quando lo chef ci dà mezza giornata libera. Mezza giornata ogni dieci giorni circa. Mal di schiena, calli, mal di testa. Dormiamo 4-5 ore a notte. E in tutto questo siamo costantemente insultati e strattonati. Ogni domanda rivolta agli chef sembra la cosa più stupida, ma soprattutto irritante, del mondo. Ma mano a mano che vado avanti capisco. Entro nel sistema.
Quando arriva un nuovo stagista capita che fanno fare a me il giro di “benvenuto”. Sbuffando lo accompagno. Con aria indifferente gli spiego tutto, annoiato, come un elenco telefonico. Dopo dieci minuti lo scarico. Ho da fare. Mi sento il capitano che accoglie le reclute. E che cos’è questa strana cosa che sento dentro? Soddisfazione? Gratificazione perchè sto imparando qualcosa? Non so, non me ne curo. Ho da fare.

Antonio E. Sorrentino

cucina

The best Fish&Chips ever

The best Fish&Chips ever

I do not talk about restaurants, nor about recipes. But here Fish&Chips make the difference.
Poppies serves fish and chips as they were meant to be, but probably never were’’ wrote Timeout, in 2012.
Poppies’ owner, Pat ‘Pops’ Newland, has been serving fish and chips in the East End for over 50 years, during which time he has maintained the recipe for original, traditional, healthy fish and chips. I do not eat fried fish, nor chips. All the others did like it a lot.
But grilled fish was astonishing. And the place really great. And fun people indeed.

You find Poppies at:
Address: 6-8 Hanbury St, London E1 6QR, United Kingdom
Phone:+44 20 7247 0892

fish

donut

men

tshirt

poppettes

waiter

forks

marinai

portaits

You’re what you eat.

You’re what you eat.

His wife noticed that ants’ abdomens turned white when drinking milk. That’s why Dr. Mohamed Babu, of Mysore, South India, took droplets of food coloring and an exotic species of Indian ant and made a stunning set of photographs. Mixing different varieties of food coloring along with sugar, water and a waxy base, he set out small droplets of liquid on a white plastic sheet outside in his garden and let the ants do the rest. “As the ant’s abdomen is semi-transparent, the ants gain the colors as they sip the liquid,” he said. 
Ants’ color preferences? “Curiously, the ants preferred light colors—yellow and green,” he said. “The darker green and blue drops had no takers, until there was no space around the preferred yellow and green drops.” Some of the ants even wandered between the colors, creating unique mixtures of different hues inside their own stomachs.

Sua moglie ha notato che l’addome delle formiche della sua cucina diventava bianche quando bevevano il latte caduto per terra. Ecco perché il Dott. Mohamed Babu, di Mysore, India del sud, ha preso alcune gocce di colorante alimentare, le ha date in pasto alle formiche semitrasparenti e ne ha fatto una serie di fotografie mozzafiato. Mescolando zucchero e colorante alimentare , acqua e una base di cera, ha fatto cadere piccole gocce di liquido su un foglio di plastica bianca in giardino e ha lasciato che le formiche facessero il resto. “Poiché l’addome della formica è semi-trasparente, le formiche cambiano colore quando bevono il liquido”. I loro colori preferiti? Giallo e verde, anche se vagando tra una goccia e l’altra e bevendo un po’ di qua e un po’ di là inventavano nuove combinazioni.

ants1 7755852938_d658e4ccb9_z ants-1-600x449 ants-2-600x451 ants-3-600x445

The russian experience. By Marco Ambrosi.

The russian experience. By Marco Ambrosi.

by Marco Ambrosi

In Verona, where I live, there’s a certain cultural movement: several groups of young self-entrepreneurs try new ways to generate economies based on principles like sustainability, mutual support, hybridization, intercultural exchange.

Among these, one of the most interesting is certainly Diplomart, a group of seven persons, which mission is “managing the exchange between artists from East and West, North and South, we bridge the distance and enter in a dialogue that is both artistic and educational-promoting and sustaining intercultural development based on mutual respect”.

Their last creature is a series of four meetings, mixing culture, food, cooking and experiences exchange called “CuCu – Cultura e Cucina – Culture and Cookery”.
In the nice spaces of Tabulè, a Lebanese restaurant held by Ibrahim Kachab, they organized four meetings with russian, lebanese, georgian and hebrew cultures.

Unfortunately I could participate in only the first evening – on may 13 – which I regret so much. Anyway it has been a rich experience for which I want to thank Ginevra Gadioli and Massimiliano Gugole from Diplomart, and then Giulia Nekorkina – who cooked for us – with Natalia Smykunova who told us lots of things about Russia and Russians.

Here’s the whole program http://www.diplomart.org/cucu-incontri-di-cucina-e-cultura/

We had “Herrings in fur”,  Julienne of mushrooms, Borsch with garlic small bread, Beef Stroganov, Buckwheat with mushrooms, Semolina mousse and red fruits.

And here are my pictures of that amusing and interesting night.

ist-2014-05-13-cena-russa-024 ist-2014-05-13-cena-russa-030 ist-2014-05-13-cena-russa-001 ist-2014-05-13-cena-russa-004 ist-2014-05-13-cena-russa-005 ist-2014-05-13-cena-russa-032 ist-2014-05-13-cena-russa-008 ist-2014-05-13-cena-russa-009 ist-2014-05-13-cena-russa-010 ist-2014-05-13-cena-russa-013

Le cucine hanno gli occhi

Le cucine hanno gli occhi

ostrica

“Allora, abbiamo la sala piena, ha prenotato un sacco di gente.”

Sono appena entrato. E’ la prima cosa che mi dice lo chef. Buongiorno a lei.

“Probabilmente molti mangeranno le ostriche” Parla in fretta perchè abbiamo poco tempo.“Sia quelle con la gelatina che quelle espresse”

Parla in fretta perchè sta per dirmi qualcosa che non dovrebbe dirmi.

“Però quel bastardo del fornitore c’ha dato buca” Vuole archiviare la conversazione il prima possibile e non pensarci più. “Quindi vedi le ostriche che abbiamo, ce le dobbiamo far bastare”

Arrivo subito al punto. “Alcune sono vecchie, non so quante ne abbiamo buone”

“Ce le dobbiamo far bastare, non possiamo stare senza ostriche” Me lo dice che già mi dà le spalle. Sensi di colpa.

Entro in cella per controllare la linea. Un piatto consiste in un’ ostrica ricoperta da una gelatina fatta con l’acqua della stessa. Quindi si preparano prima.

Procedimento: le apro tutte conservando l’acqua, faccio la gelatina, che ricoprirà il mollusco; e poi una per una le metto sottovuoto. Altrimenti vengono servite nel modo più classico, aperte sul momento. Ce ne sono una quarantina, con date diverse. Le più vecchie hanno cinque giorni. Un po’ troppi. Faccio il resoconto allo chef, che nemmeno mi guarda mentre gli parlo.

“Però quelle più vecchie le butterei…”

“Aprile e controllale. Parti dalle più vecchie e lascia le quindici più nuove chiuse”

Prendo la cassetta con la data di cinque giorni fa. Che perdita di tempo. Saranno tutte fradice. Apro la prima ostrica. CLACK. Subito dopo il rumore, nemmeno il tempo di riuscire a vedere all’interno, vengo assalito da un aroma di pesce morto e succhi gastrici. Tiro indietro la testa con una smorfia. Con un tiro da tre faccio canestro nel secchio. Avanti il prossimo, e il prossimo. Dopo aver fatto altri nove punti vado dallo chef con la quinta ostrica aperta.

“Mi sa che le buttiamo…” e gliela piazzo sotto al naso. E’ color beige tendente al marroncino, con evidenti riflessi verdi.

Scatta all’indietro, spaventato. Poi si riavvicina. La guarda. La prende, la mette sotto l’acqua. “Ecco. Già va meglio!” mi dice soddisfatto porgendomela. Guardo perplesso prima lui e poi l’ostrica “Quelle così tienile, quelle peggio buttale” mi spiega lo chef.

“E per la gelatina? Mica posso usare l’acqua loro…puzza di vomito!”

“Per forza” E se ne va. Per forza cosa?! Ma guarda che stronzo, se ne lava le mani così!
Faccio come mi dice, nei limiti della decenza. Questa puzza di merda mi resterà sulle mani fino a domani. Nel cervello chissà per quanto. Ne vengono fuori dodici. Più dieci chiuse, a fare effetto sorpresa. Che dio ce la mandi buona.
Tra pranzo e cena le vendiamo tutte.
La mattina dopo. Sono appena entrato. “Vieni un po’ qua” Mi chiama lo chef. Preferivo il buongiorno di ieri. “E adesso che dovrei fare con te?! Se ci fanno causa ti dobbiamo cacciare!” Oddio “Perchè?! Che è successo?!” “Nove persone, cazzo! Nove persone!” Mi urla in faccia davanti a tutti “Hanno chiamato perchè si sono sentite male! Con ‘ste cazzo di ostriche!”

“Cazzi tuoi! Sei tu che hai voluto farle lo stesso, io le volevo buttare! E’ solo colpa tua!” Ovviamente è solo il mio pensiero. In realtà non dico niente. Aspetto che se ne vada.

Come lo chef esce dalla cucina un paio di colleghi scoppiano a ridere “Hai mandato a cagotto nove persone!” “E in un giorno solo!”
Qualcuno mi da il cinque. “Ah grande! Questo è un record!”

Cucina. Scusateci.

Antonio E. Sorrentino

Le cucine hanno gli occhi

Le cucine hanno gli occhi

pentola

“Ci sono un celiaco, un vegetariano e quattro mussulmani…” Sembra l’inizio di una barzelletta. Invece no. E’ una grandissima rottura di palle. Fanno parte di un gruppo di 30 persone, a menù fisso. Orecchiette con ragù bianco e funghi porcini, saltimbocca e caponata. Quindi ci siamo preparati già tutto, sarebbe stata una passeggiata. La salsa per la pasta è già pronta, così come il secondo e il contorni, tenuti al caldo e pronti per essere serviti.
La bella notizia che ci ha appena dato il matre ci dà non poche complicazioni, considerando che oltre a loro c’è un sacco di gente, nel ristorante. Ovviamente le reazioni della cucina sono tranquille e professionali.

“Ma che palle!!” “Ma annassero a magnà a casa loro, se devono fa’ ‘i schizzinosi!”
Solo lo chef prova a mantenere un minimo di decenza, anche se gli girano pure a lui “Ma perchè non avvertono prima? Almeno ci organizziamo! Che tre giorni fa non lo sapevano che sono celiaci?!” Chiede all’incolpevole matre, che non può far altro che allargare le braccia, senza dire niente “Così non si può andare avanti, però!” continua a rimproverarlo. Come se dipendesse da lui.

“E mo che je damo?” Un collega si rivolge allo chef, che ci dà istruzioni sul da farsi.
“Al celiaco gli buttiamo la pasta a parte e la salsa dovrebbe andare bene. Poi gli facciamo una bistecchina alla griglia.” E uno è andato

“Per il vegetariano” e ora si rivolge direttamente al capo partita dei primi “leva un po’ di funghi dalla salsa e gli condiamo la pasta a parte. Pure se ci va un po’ di carne ‘sti cazzi”
Pur non sembrando molto convinto della soluzione, armato di forchetta, il capo partita inizia a togliere dal pentolone un fungo alla volta. Ora sembra molto meticoloso, ma sono sicuro che si stancherà presto. Allora sì che ci sarà la carne. “Per secondo gli diamo la parmigiana di melanzane” continua lo chef

“Invece coi mussulmani stamo apposto così, no?” lo incalza un collega, che subito si rende conto dell’errore
“Ah no, il prosciutto dei saltimbocca… sennò c’abbiamo l’involtini de vitella cor guanciale….ah no.” “See ciao!”
E con grande frustrazione e rassegnazione decide di abbandonare la ricerca, manifestando il suo malcontento “Come se fa a nu magnasse ‘r maiale! 
Cercando di andare oltre a questo illuminante scambio di battute, mi rivolgo allo chef. “Comunque anche nel ragù c’è il maiale” “E vabbè tanto mica se ne accorgono. Gli diciamo che è solo vitello”

Rivolgendosi al matre, che è rimasto ad ascoltare le variazioni del menù. Di tutta risposta fa di sì con la testa, con aria attenta.

Per un attimo rimango lì a pensarci su. Lo so che non dovrei contraddire lo chef, parò tutto questo mi sembra un pochino irrispettoso.“Scusi chef, ma loro non possono mangiare il maiale”

“Mica sono allergici” mi interrompe senza darmi il tempo di continuare.

Ci provo lo stesso “No, non lo sono. Però fa parte della loro religione, della loro coltura. E’ una cosa in cui credono. Non possiamo fregarcene così…” cerco di dirlo più umilmente possibile, ma non sembra volermi dare ascolto.

Ora si rivolge a tutti i presenti “Allora da adesso in poi ci pensa lui al menù! Parlate solo con lui!” Tutti ridono.
Poi torna su di me. “Siamo tutti d’accordo che non lo “possono” mangiare” fa anche le virgolette con le dita, alzando gli occhi al cielo “E sarebbe carino se noi rispettassimo il loro credo” Sarebbe “carino”? “Ma tanto pensi che se ne accorgeranno se c’è il maiale o no?!” e se ne va, dopo avermi dato questa grande lezione.

No. Probabilmente nessuno si accorgerà di niente. E’ vero. La gran parte delle persone non ha idea di cosa si mangia. Puoi vendere una cosa per un altra. Puoi vendere tutto ciò che vuoi. Nessuno ti scoprirà. Devi solo decidere quanto essere carino.

Antonio E. Sorrentino