
9.30 del mattino. Dovrei attaccare ora. Dovrei essere già in cucina con la divisa e tutto quanto, pronto all’azione. E invece no. Sono in mezzo ad un altro centinaio di macchine, tutti agitati e incazzati neri. Ora lo chef mi si incula. Non riesco a pensare ad altro. In genere sono sempre puntuale, ma lui sembra proprio il tipo di persona che non te ne fa passare una.
PEEEEEEEEE. “Taccitùa!”. Per quanto ultimamente sembra più sereno. “Te movi!!” Tanto mi si incula lo stesso. PEEEEEEEEEE. Che mal di testa. PEEEEEEEE. Che giornata di merda.
10.10. Entro in cucina. Troppo bene è andata. “Buongiorno chef, scusi il ri…” mi fermo perchè tanto non mi ascolta nessuno. Stanno tutti in silenzio a testa bassa a beccarsi un cazziatone furioso. Mi avvicino al collega più in disparte, cercando di mimetizzarmi tra gli altri.
“Ma che succede?” bisbiglio. “Stamattina quando è arrivato ha trovato la cella spenta.” Mi spiega con un filo di voce. “Ma dai, di nuovo?!” “E tu? A quest’ora arrivi?!” la sua voce mi prende a martellate il cervello.
Quasi sull’attenti:“Scusi chef, ho trovato un sacco di tr…” “Non me ne frega un cazzo!” e subito, sempre urlando “Perchè hai spento la cella?” Rimango un attimo interdetto “…come…?” “SVEGLIA! Lo sai che stamattina ho trovato di nuovo la cella spenta?” “Si…me lo stava dicen…” “L’hai spenta tu?” mi interroga con una voce e uno sguardo più che inquisitori.
Come si fa a dare una risposta che sembri abbastanza sincera da convincere qualcuno che ti guarda con un misto di sospetto e disprezzo?
Che tono si deve usare per far capire che non stai mentendo? Mentre mi faccio queste domande, mi esce fuori un “No…” che mi sarei licenziato da solo. “Appena lo becco ‘sto stronzo che si diverte a spegnere le celle vi giuro che l’ammazzo con le mie mani!” E ci fa vedere le mani. Grandi mani. Mani da chef.
Che tono si deve usare per far capire che non stai mentendo? Mentre mi faccio queste domande, mi esce fuori un “No…” che mi sarei licenziato da solo. “Appena lo becco ‘sto stronzo che si diverte a spegnere le celle vi giuro che l’ammazzo con le mie mani!” E ci fa vedere le mani. Grandi mani. Mani da chef.
Passiamo, un collega ed io, le successive due ore dentro la cella frigorifero, accesa (4°), a controllare lo stato dei chili di carne al suo interno.
“Comunque è assurda ‘sta cosa!” Sarà la decima volta in un mese che la mattina ritroviamo la cella della carne spenta “Secondo te chi è? E soprattutto perchè?” Mi parla e mi guarda con un entusiasmo che non gli ho mai visto. Quanto sono affascinanti i misteri!
“Comunque è assurda ‘sta cosa!” Sarà la decima volta in un mese che la mattina ritroviamo la cella della carne spenta “Secondo te chi è? E soprattutto perchè?” Mi parla e mi guarda con un entusiasmo che non gli ho mai visto. Quanto sono affascinanti i misteri!
Ovviamente sto al gioco:“Non so. Dovremmo cominciare a fare un po’ di domande in giro…” visto che fino a quel momento ce n’eravamo tutti altamente fregati “…per vedere chi è che avrebbe un motivo per danneggiare questa cucina” “Chiunque…” mi risponde con tono ovvio “Già…” E, sconfortati per non aver fatto passi in avanti, abbandoniamo l’indagine.
00.30. Abbiamo finito. Ci cambiamo e tutti a casa. “Cazzo! Ho lasciato il cellulare in cucina.” “Oggi non ne fai una giusta, eh?!” mi sfotte un collega. Gli mostro il dito medio mentre faccio per uscire dallo spogliatoio. “Dai, se aspetti due minuti ti accompagno”. Ce ne mette venti, di minuti.
Quando finalmente ci avviamo, non c’è più nessuno, il ristorante è silenzioso e buio. Entriamo in cucina. A memoria cerco il cellulare, che è dove l’ho lasciato. “Trovato?” “Sì sì, andiamo” Mentre mi infilo il telefono in tasca, mi accorgo che qualcosa non va. Mi guardo intorno e capisco subito di che si tratta “Ehi! Guarda! E’ spenta di nuovo!” “Chi è uscito per ultimo?” “Mi sa lo chef…aveva detto che doveva fare delle cose”
Ci avviciniamo per riaccenderla. La porta è accostata. Ci guardiamo incuriositi. Smettiamo di respirare per metterci in ascolto. La porta è spessa. Lontani rumori indecifrabili. Il mio collega spalanca la porta. Di fronte a noi c’è la cameriera (e che cameriera!) che si regge con le mani allo scaffale, sospesa. A gambe aperte. A coprire il resto del suo corpo la sagoma dello chef. Che quindi, ovviamente, ci dà le spalle. I pantaloni all’altezza delle caviglie. Ora ci hanno visto. Entrambi. Tutti zitti. Tutti ci guardiamo in attesa che qualcuno faccia qualcosa. Sembra una gara a chi spalanca di più gli occhi. Dico la prima cosa che mi viene in mente “Beh, se non altro, questo spiega un sacco di cose!”.
Cucina. Bisogna pur divertirsi ogni tanto.
Antonio E. Sorrentino