“Allora, abbiamo la sala piena, ha prenotato un sacco di gente.”
Sono appena entrato. E’ la prima cosa che mi dice lo chef. Buongiorno a lei.
“Probabilmente molti mangeranno le ostriche” Parla in fretta perchè abbiamo poco tempo.“Sia quelle con la gelatina che quelle espresse”
Parla in fretta perchè sta per dirmi qualcosa che non dovrebbe dirmi.
“Però quel bastardo del fornitore c’ha dato buca” Vuole archiviare la conversazione il prima possibile e non pensarci più. “Quindi vedi le ostriche che abbiamo, ce le dobbiamo far bastare”
Arrivo subito al punto. “Alcune sono vecchie, non so quante ne abbiamo buone”
“Ce le dobbiamo far bastare, non possiamo stare senza ostriche” Me lo dice che già mi dà le spalle. Sensi di colpa.
Entro in cella per controllare la linea. Un piatto consiste in un’ ostrica ricoperta da una gelatina fatta con l’acqua della stessa. Quindi si preparano prima.
Procedimento: le apro tutte conservando l’acqua, faccio la gelatina, che ricoprirà il mollusco; e poi una per una le metto sottovuoto. Altrimenti vengono servite nel modo più classico, aperte sul momento. Ce ne sono una quarantina, con date diverse. Le più vecchie hanno cinque giorni. Un po’ troppi. Faccio il resoconto allo chef, che nemmeno mi guarda mentre gli parlo.
“Però quelle più vecchie le butterei…”
“Aprile e controllale. Parti dalle più vecchie e lascia le quindici più nuove chiuse”
Prendo la cassetta con la data di cinque giorni fa. Che perdita di tempo. Saranno tutte fradice. Apro la prima ostrica. CLACK. Subito dopo il rumore, nemmeno il tempo di riuscire a vedere all’interno, vengo assalito da un aroma di pesce morto e succhi gastrici. Tiro indietro la testa con una smorfia. Con un tiro da tre faccio canestro nel secchio. Avanti il prossimo, e il prossimo. Dopo aver fatto altri nove punti vado dallo chef con la quinta ostrica aperta.
“Mi sa che le buttiamo…” e gliela piazzo sotto al naso. E’ color beige tendente al marroncino, con evidenti riflessi verdi.
Scatta all’indietro, spaventato. Poi si riavvicina. La guarda. La prende, la mette sotto l’acqua. “Ecco. Già va meglio!” mi dice soddisfatto porgendomela. Guardo perplesso prima lui e poi l’ostrica “Quelle così tienile, quelle peggio buttale” mi spiega lo chef.
“E per la gelatina? Mica posso usare l’acqua loro…puzza di vomito!”
“Per forza” E se ne va. Per forza cosa?! Ma guarda che stronzo, se ne lava le mani così!
Faccio come mi dice, nei limiti della decenza. Questa puzza di merda mi resterà sulle mani fino a domani. Nel cervello chissà per quanto. Ne vengono fuori dodici. Più dieci chiuse, a fare effetto sorpresa. Che dio ce la mandi buona.
Tra pranzo e cena le vendiamo tutte.
La mattina dopo. Sono appena entrato. “Vieni un po’ qua” Mi chiama lo chef. Preferivo il buongiorno di ieri. “E adesso che dovrei fare con te?! Se ci fanno causa ti dobbiamo cacciare!” Oddio “Perchè?! Che è successo?!” “Nove persone, cazzo! Nove persone!” Mi urla in faccia davanti a tutti “Hanno chiamato perchè si sono sentite male! Con ‘ste cazzo di ostriche!”
“Cazzi tuoi! Sei tu che hai voluto farle lo stesso, io le volevo buttare! E’ solo colpa tua!” Ovviamente è solo il mio pensiero. In realtà non dico niente. Aspetto che se ne vada.
Come lo chef esce dalla cucina un paio di colleghi scoppiano a ridere “Hai mandato a cagotto nove persone!” “E in un giorno solo!”
Qualcuno mi da il cinque. “Ah grande! Questo è un record!”
Cucina. Scusateci.
Antonio E. Sorrentino