L’ultima immagine che Martin Vàzquez de Murialdo vide, un attimo prima di morire, fu la foglia di carciofo adagiata nel piatto. La foglia sulla cui punta, fino a pochi istanti prima, spiccava solitaria la spina che l’avrebbe di lì a poco ucciso.
L’aspetto più singolare di quella infelice circostanza risiedeva nel fatto che per lunghi anni della sua avventurosa vita, Murialdo aveva pensato alla propria persona come a un carciofo: spinoso e duro nella corazza del carattere, ma tenero e pronto alla generosità nel cuore.
Il prematuro bilancio finale di quella duplice immagine di sé volgeva purtroppo a favore della corazza, che troppo poco era stata sfogliata – nei momenti cruciali che giudicano un’esistenza – per svelare compiutamente la soffice polpa interiore.
Si dice che a lungo i medici restassero a discutere, col cadavere ancora chino sul tavolo, se ad ucciderlo fosse stata direttamente la spina, trapassando la trachea, o il soffocamento successivo. Ma come spesso accade nello svolgersi delle vicende terrene, anche in questo caso l’evidenza del fatto non produsse alcuna verità accertata. Già il giorno dopo, tuttavia, da Calle Honduras fino alla più remota periferia di Buenos Aires i venditori ambulanti offrivano, per pochi centavos in più, mazzi di carciofi senza spine, “ottimi per la gola e per i mali del cuore”. Finché durò il ricordo del Murialdo e della sua triste fine – ossia per qualche settimana ancora – quei carciofi andarono a ruba.
Jorge Luis Mendoza