L’accecamento dell’amante nei confronti della persona che suscita il suo amore, il rigurgito di passione isterica del tifoso verso la squadra del cuore, l’affetto malato della mamma che strozza la vita del figlio rinchiudendolo negli agi della casa di famiglia, il fanatismo ideologico del militante rivoluzionario che giustifica la violenza in vista di un bene superiore, non sono niente ma proprio niente a confronto dell’identificazione totale del cinephile verso il regista diventato di culto. Non si discute, a prescindere. Se anche il suo ultimo film non è all’altezza dei precedenti, è pur sempre un film che va assaporato e, soprattutto, approfondito perché è lì che si celano le vertiginose oscurità che meritano di essere divulgate e interpretate per esaltare ancor più la genialità artistica del talento in questione. Così come nelle perversioni sessuali esistono i monomaniaci che si eccitano solo con il latex, lo spanking e lo sleeping (e qui per spiegazioni e altre infinite varietà ci censuriamo) cosi’ nel cinema ci sono le sette dei tarantiniani e dei morettiani, gli adepti al culto di Almodovar, le vestali di Sofia Coppola e Jane Campion, oggi però esautorata a favore di Kathrin Bigelow. Intendiamoci, la venerazione nasce da una reale capacità dei singoli registi di proiettarsi oltre la luminosità dello schermo e diventare l’interprete più sensibile del proprio tempo storico o di quel mondo onirico che produce immagini e suggestioni cui ci conformiamo nel buio della sala. E così è sempre stato, dai tempi dei Lumiere e Melies in cui si affrontavano due partiti, quello realista e quello fantasticante, per proseguire con i viscontiani e i felliniani o, per entrare nei nazionalismi identitari, gli americani coi loro filmakers on the road e i francesi con i critici-registi e gli italiani neorealisti, e tutti gli altri cineasti con i loro relativi schieramenti di semplici appassionati o di festivalieri barricadieri.

Prendi i soldi e vai in vacanza.

Insomma tutto questo per parlare dell’ultimo film di Woody Allen, io che l’ho visto in sala fin dai suoi esordi, dai tempi di Prendi i soldi e scappa e Provaci ancora Sam e non mi ha mai deluso. Sì qualche incertezza recentemente si era insinuata subdola nella mia amorosa condiscendenza. Titoli come Melinda e Melinda o Incontrerai l’uomo dei tuoi sogni avevano disvelato qualche stanchezza, una ripetizione di temi e situazioni. Ma bastava un film come Match Point per ricacciare le prime insofferenze, qualche dubbio e leggeri conati di noia nel pozzo delle opere insignificanti e li’ lasciarle lentamente svaporare per non danneggiare l’icona del regista sempre brillante che merita di essere seguito ad ogni appuntamento. Anche il celebratissimo Midnight in Paris che pur si è appena conquistato un Oscar per la sceneggiatura originale mi era sembrato un’opera comunque minore, il classico film “carino” ma con il gioco un po’ telefonato e insistito delle celebrità del passato che ricompaiono magicamente e si affiancano allo scrittore incompreso dalla futura mogliettina e dai suoi ricchi e beceri genitori.

Delle ” meravigliose presenze” (sarà una moda narrativa?) simpaticamente caratterizzate che si divertono a riportare il nostro protagonista alle solite giuste scelte di una vita consona ai propri interessi. Il solito Woody, qui identificato da Owen Wilson vista l’impossibilità per ragioni di eta’ di interpretarne il ruolo, proprio come ai tempi di Manhattan, con tutte le sue incertezze esistenziali che vanno a buon fine nell’accettazione di sé e della propria unicità. Ma già si preannunciava la tragedia che avrebbe portato a To Rome with love, l’ultimo film di Allen. La cosa deve essere andata cosi’. Visto il successo degli ultimi film di Allen ambientati e dedicati a una città europea ( Barcellona, Parigi e prima ancora Londra) visti i costi relativamente bassi ( dal momento che per girare negli States Woody fa sempre più fatica coi finanziamenti) i produttori dell’italiana Medusa hanno pensato bene di fare una furba offerta e di chiamarlo nella citta’ eterna a offrire prova del suo incommensurabile genio. Anche il sindaco Alemanno e la Film Commission del Lazio sono stati di manica larga e hanno offerto gratuitamente totale libertà di movimento. Non deve esser loro sembrato vero di accalappiare Allen e darsi una patina di cultura mescolata a glamour e divismo con un facile rilancio di immagine. Così Medusa e i suoi per l’occasione arrapati accoliti devono aver chiamato la sorella di Allen (ormai da qualche anno sua produttrice esecutiva) per mettere in piedi un marchettone che, proiettato e visto,rientra tranquillamente nella categoria dei crimini e misfatti del cinema italiano, tanto per usare proprio il titolo di uno dei migliori film di Allen.

Estate romana. E stanno tutti a girare con Woody.

Ne hanno parlato male praticamente tutti, critici e spettatori, anche se questi ultimi sono comunque andati in massa a vederlo un po’ increduli di un passaparola negativo per un autore da sempre celebrato con simpatia. Certo i critici hanno diluito il loro sostanziale rifiuto con paroline rispettose per il passato del regista. Hanno parlato di uso bonario di stereotipi romaneschi, di citazioni felliniane a proposito di un episodio del film, per non aggredire Allen per la non involontaria copiatura dello Sceicco Bianco. Ma rimane che il film e’ davvero bolso, le battute arrivano ogni 30 minuti, i personaggi gesticolanti sono caricature nemmeno divertenti di un’ italian way of life come si usava nei film americani degli anni ’50 e purtroppo appena resuscitati come zombie di piazza Navona nel terribile (brutto ma così brutto) Mangia, prega, ama con Julia Roberts. E questo potrebbe bastare per chiudere il discorso con To Rome with love e pensare che Allen si è lasciato scivolare in questa soporifera pennichella perché sazio del generoso budget dei subdoli coproduttori italiani che pur si sono esposti in lodi sperticate e hanno praticamente paralizzato alcuni quartieri di Roma durante le riprese dell’estate scorsa. E’ stato il momento in cui non c’era attore, attricetta o attoruncolo italiano che non si vantasse della sua partecipazione al film di Woody, magari anche solo per una posa poi tagliata nell’edizione finale, e non ne celebrasse il virtuosismo e la grande capacità di lasciare all’attore la libertà di recitare senza costrizioni di sorta. Ed era allora tutto un Woody qui, Woody lì e via meravigliando mentre proprio Woody sornione si aggirava con la troupe nei luoghi più turistici di Roma come già aveva fatto a Barcellona e Parigi ma questa volta con un che di casuale e abborracciato nemmeno documentaristico. Magari la scelta dello shooting in Rome in così tante locations era stata quella di prendersi quasi una bella vacanza alla faccia di Medusa mentre Soon Yi, la moglie coreana dello scandalo con Mia Farrow, poteva andarsene in giro in via Condotti per lo shopping, dove è stata avvistata più volte. –“Tu vai a farti un giro in centro mentre intanto io giro qualcosina a Trastevere”– potrebbe essere la brutta e falsa battuta tra Woody e la sua piu’ giovane musa, non per essere cattivi ma realistici.

Mettiamola così. E se Woody avesse preso tutti per il naso?

Ma poi il cuore di cinefilo comincia a protestare con strane aritmie e extrasistole. Woody è sempre stato un amico da frequentare con gioia e curiosità. E’ impossibile che si sia ridotto così. E poi Woody è un uomo intelligente, molto intelligente. Un regista che ha sempre saputo scandagliare con ironia la società che lo circonda e i comportamenti delle persone. Lo ha fatto con una divertita precisione chirurgica e senza pregiudizi, con la capacità di rappresentare slanci generosi e meschini egoismi con la stessa intensità e senza il cinismo di chi si sente superiore agli uomini e alle donne che rappresenta. Non a caso i due registi che Allen ammira di più sono Fellini e Bergman. E anche in questo caso, nel pedissequo carosello italiano di amori e incontri, vuoi vedere che Woody ci ha preso tutti per il naso e, senza troppa fatica, non ha fatto altro che raccontare con ovvie banalità il casino che è oggi l’Italia, mettendola semplicemente in scena così com’è, stereotipa al punto che noi stessi non ce ne accorgiamo nemmeno più. La spia potrebbe essere l’episodio dei due studenti con l’amica attrice e seduttrice e Alec Baldwin che rivede nel ragazzo il se stesso di trent’anni prima e gli offre consigli sempre disattesi, un po’ come il Bogart di Provaci ancora Sam. Guarda caso questo è anche l’unico episodio completamente recitato ( e bene) da soli attori americani, l’unico sceneggiato con cura anche se un po’ stantio nella riproduzione del solito cliché del ragazzo imbranato. Tutto il resto è semplicemente un’accozzaglia di facce e temi, un allestimento ingombrante di sceneggiate da teatro varietà: il regista tivù Albanese che fa il marpione con la sposina in libertà, il vigile urbano, il cassamortaro che diventa una star dell’opera solo quando si fa la doccia. E dietro a tutti questi “mascheroni” in scena c’è anche l’incessante passare dei turisti sbracati, centinaia di comparse prese forse per risolvere temporaneamente la disoccupazione di Cinecittà. E tuttavia anche questo insolito andirivieni diventa lo specchio fedele di cosa è diventata oggi Roma, la fotografia del suo sbando. Il culmine viene raggiunto nell’episodio con Benigni, un insignificante ometto che non si sa per quale motivo viene innalzato al successo dal capriccio di una fama mediatica senza spiegazioni e inseguito da paparazzi e escort fino al suo prevedibile ritorno nell’anonimato. Alla fine di questa sua illusione fantozziana, in un disperato tentativo di tornare alla ribalta non gli resta che calarsi i pantaloni in via Veneto, povero giullare per qualche tempo troppo fortunato. E qui forse potrebbe essersi sfogata un po’ di sana cattiveria che ci riabilita l’intelligenza di Woody Allen. Nel saliscendi mediatico del personaggio interpretato da Benigni c’è forse una non troppo velata critica all’istrionismo del toscano che, a colpi di pacche sulla spalle e camminate sui sedili nella premiazione degli Oscar, si era conquistato la simpatia dei cineasti americani, sempre contenti di ritrovare l’italiano esagitato, il Pulcinella leccaculo, un po’ marionetta divertente, felice di essere ammesso al consesso dei grandi e forse oggi un po’ ammaccato e disperso sulla scena internazionale. Proprio quella che che Woody ha sempre rifiutato non andando mai a ritirare di persona l’ Oscar per cui c’è chi, per accaparrarselo, si arrampicherebbe persino sui muri.