Il salame è l’elogio della semplicità. Quando si ha voglia di assaggiare il lato genuino della vita, di riscoprire il sapore di se stessi ascoltando l’onestà del desiderio, si sceglie il salame, totem della cultura contadina, obelisco della dispensa. Il salame soddisfa il gusto del palato e il bisogno recondito di confessarsi, senza bisogno di tavole ridondanti, né di sofisticazioni sociali. Mangiare il salame è bello come togliersi le scarpe e i vestiti stretti. Rende onesti, il salame. Con il salame ci godiamo il nostro porco, comodo, in cucina, perché è così buono che non ci obbliga alla costrizione del dress code. Tolta la pelle, il salame resta nudo e non si vergogna, non ha bisogno di coprirsi con le salse, con le foglie di insalata. Il salame è puro.
Forse è per questo che alla fine le donne sposano un salame, perché nonostante non abbia la classe del fagiano in crosta, l’esotismo del sushi o lo stile dell’astice, non finge, non tradisce e non fa scherzi. È quello che è. Magari il nero smoking del caviale, con la complice euforia dello champagne, fa girare la testa per una sera ma dopo? Si sa che il fascino è merce ambita e i tipi molto appetitosi sono sfuggenti. Il buon tenebroso annoia in fretta, è troppo prevedibile, mai una volta che ti sorprenda con un grano di pepe. Il salame, invece, con la schiettezza del vino rosso ti fa divertire sempre e non chiede altro se non la sincerità. Il salame si affetta perché è affettuoso. E poi al salame le donne piacciono al naturale, anche in tuta, anche struccate.
Quel salame di mio marito! – lamento che le mogli ripetono spesso, in verità ha il sapore del complimento.