di Umberto Pavoncello
Beridde, in giudaico-romanesco, significa “patto”. Dio fa un patto con gli uomini dopo il diluvio universale e promette di non distruggere più l’Umanità considerando quest’ultima “difettosa” e in quanto tale non in grado di comportarsi secondo i suoi insegnamenti. Il “berith olam” è il patto col mondo e l’arcobaleno è il simbolo di questo patto. Ogni volta che vediamo l’arcobaleno dobbiamo gioire e pensare “anche ‘sta volta Dio non ci ha distrutto”. Ma c’è un altro patto, fondante per il popolo ebraico ed è quello che Dio fa con Abramo: “Tu sarai il mio popolo e io sarò il tuo Dio”. Il simbolo di questo patto è la circoncisione, il “berith milà”, un rituale che ha luogo l’ottavo giorno dalla nascita (solo del figlio maschio, ovviamente) di cui dovrebbe occuparsi il padre ma che viene delegato al “moèl”, il circoncisore, in genere un chirurgo-rabbino. L’ottavo giorno rappresenta il sovrannaturale, ciò che va oltre la normalità del ciclo a base sette. Tra le altre cose, la milà è un simbolo dell’imperfezione dell’Uomo affinché non si compiaccia del proprio corpo: anche il corpo ha bisogno di una correzione. A questa deve seguire la “circoncisione del cuore”, considerato la sede del sentimento e della volontà, anche qui un invito a controllare i propri pensieri e sentimenti, a non considerarli “naturalmente” buoni o buoni perché “naturali”. L’uso degli ebrei romani è di dare sempre un grande ricevimento per amici e parenti per condividere questa grande gioia. A tutti quelli che ti hanno fatto l’onore (in ebraico “kavòd) di venire si regala, al momento di andar via, un sacchetto di dolci che si chiama “kavodde” con cui il padre restituisce agli invitati l’onore che gli hanno fatto partecipando alla festa. Nel sacchetto, protagonista assoluto, c’è la “pizza da beridde”, un dolce che dà dipendenza: mandorle, uvette, pinoli, canditi in un impasto a base d’olio d’oliva. Appena potete fatevi invitare a una festa per la circoncisione.
foto di Roberto Murgia