21 Days Project

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21 è un po’ un numero magico. 21 sono gli esercizi tibetani. 21 è il sesto numero triangolare dopo il 15 e prima del 28. È l’ottavo numero della successione di Fibonacci.

È il numero più piccolo di quadrati distinti per coprire un quadrato grosso. È un numero ottagonale. È un numero fortunato. È il numero di volte in cui viene intonato il mantra Om durante la pratica induista dell’Aumkara. Il 21, in quanto prodotto dei due numeri sacri 3 e 7 è considerato il numero della perfezione. 21 sono le qualità della sapienza: «In essa c’è uno spirito… intelligente, santo, unico, molteplice, sottile, mobile, penetrante, senza macchia, terso, inoffensivo, amante del bene, acuto, libero, benefico, amico dell’uomo, stabile, sicuro, senz’affanni, onnipotente, onniveggente e che pervade tutti gli spiriti intelligenti, puri, sottilissimi». Nella Smorfia il numero 21 è la donna nuda. L’alfabeto italiano ha ventuno lettere.

E proprio da un alfabeto nasce il primo dei 21 Days Project. A Febbraio dal libro di Roland Barthes “Frammenti di un discorso amoroso.” Nasce come un pranzo immaginario fra una donna e un uomo, che dura 21 giorni e 21 portate, in una conversazione che parte dalle pagine scritte attraversa il sentimento e arriva al cibo, che diventa parola esso stesso.

Il progetto:

Bisogna darsi un tempo. 21 giorni sono tanti, troppi. Ma anche le lettere dell’alfabeto sono 21. Forse un pranzo di 21 portate è un’esagerazione. Mi ricorda quel pranzo di Babette. Ma se 21 sono le lettere dell’alfabeto, allora si può anche immaginare un pranzo di 21 portate come una conversazione.

Roland Barthes in Frammenti di un discorso amoroso scrive : “Il discorso amoroso è oggi d’una estrema solitudine.” Dis-cursus indica, in origine, il correre qua e là, le mosse, i “passi”, gli “intrighi”. In effetti, l’innamorato non smette mai di correre con la mente, di fare nuovi passi, di intrigare contro se stesso. Il suo discorso non esiste mai se non attraverso vampate di linguaggio…. Possiamo chiamare questi frammenti di discorso delle figure. Ecco allora partirei da questo. 21 figure tratte da questo libro, 21 portate, in una sorta di conversazione che passa attraverso il cibo per arrivare al cuore.

 

ATTESA Tumulto d’angoscia suscitato dall’attesa dell’essere amato in seguito a piccolissimi ritardi (appuntamenti, telefonate, lettere, ritorni). Da Frammenti di un discorso amoroso pag. 40.

ANTIPASTO Qualcosa di piccolo e sfizioso che serve a togliere il languore di stomaco. Gli antipasti mettono un saccodi allegria. In genere ne faccio anche venti diversi.

Tutti colorati. Oggi inizio con un tris di gamberi al rhum con sale al merlot. Aspettare qualcuno, aspettare un ospite a cena. Mille pensieri tutti insieme. Gli piacerà

la tavola, cosa berremo, cosa penserà quando entra, cosa penserà quando esce, amerà il pesce o lo mangerà per educazione? Non siamo intimi, forse ho sbagliato qualcosa. I gamberi?

E se è allergico ai gamberi?? Beh ci sono gli allergici no? Avrei dovuto chiedere. Il vino? Bianco, certo bianco per gli antipasti, Gewurztraminer ? Si va bene, questo in genere piace. Ma poi a che portata passo al rosso? Preparo i gamberi. Dopo averli puliti per bene, li rosolo nell’olio caldo, poi li bagno con un po’ di rhum. Bello quando caramellano.

Tre per uno, bastano? Ma sì dai, ci sono 21 portate e bisogna arrivare fino alla fine. Adesso uso uno stecchino di bambù, con un po’ di verde. Apro il frigo, il songino c’è sempre a casa. Le foglio sono carine, ecco ce n’è una piccola e sta bella dritta. Così.  Poi, certo, tutto questo arancio avrebbe bisogno di un po’ di viola. Guardo la libreria: vedo sale al merlot. Comprato a New York, Chelsea Market. Il colore funziona. Il sapore? Certo pesce e merlot mmmm…. Ma si dai, non ci sta male con questi gamberi. E vada per il viola. Tempo di preparazione 6 minuti.

Il campanello suona. Il mio ospite è arrivato. (Oddio, come sono vestita, gli piaceranno i gamberi??? E se è allergico????;-)

BACIO Un momento di infinita bellezza. Da ripetere continuamente senza soluzione di continuità. Da Frammenti di un discorso amoroso? No di baci non se ne parla. L’assenza di questa figura in un discorso amoroso mi fa pensare che sia inflazionata. O che forse non per tutti sia la stessa cosa.

BACIO DI FUNGHI CHAMPIGNON con pomodori, zucchine e olive taggiasche Certo appena mi ha visto mi ha baciata. Sulla guancia. Che bacio casto. Mille domande. Casto perchè è timido? Casto perchè non sa bene come andrà a finire? Ma, aspetta fammi pensare, non era proprio casto come quello di uno che non ha niente da condividere. Va bene è solo l’inizio di questa nostra conversazione. Forse non si vuole sbilanciare. Ecco, ora ci sono, vorrebbe andare oltre, però non si fa. Per ora. Vediamo come va alla fine. Chissà come sarà quando mi saluta. Un bacio casto di commiato. Di nuovo???? Aiuto. Ma se invece andando avanti qualcosa cambia…meglio non pensare, penso ai funghi. Sono caldi, ancora in forno. Come li ho fatti? Ecco allora due bei funghi champignon di grandezza media possibilmente uguali, puliti con la spazzolina da fungo. Poi un po’ di olio molto caldo

(i funghi vogliono l’olio caldo) in una padella. Rosolare fino ad ottenere un colore dorato. Toglierli dalla padella, poi prendere un pomodoro secco, delle zucchine a scapece, qualche oliva taggiasca. Tagliare pomodoro, zucchine e olive a pezzettini fino a farne una pasta grossolana. Unire i due funghi con la pasta di verdura (come fossero dei baci di dama salati). Fermare con uno stecchino di legno o bambù. Ecco un bel bacio di funghi. In mezzo, una varietà di sapori diversi. Come con i baci veri no? In un bacio passano un sacco di cose, sentimenti, emozioni, ricordi, desideri, pensieri. In un bacio si ferma il tempo, tutto lo spazio si chiude intorno. In un bacio ci si può perdere.

“Quando inavvertitamente il mio dito…”

CONTATTI La figura fa riferimento ad ogni discorso interiore suscitato da un contatto furtivo con il corpo (e più precisamente con la pelle) dell’essere amato.

Da Frammenti di un discorso amoroso pag. 57

CONTATTI FRA ALICI MARINATE E UN CAPPERO

Capita che per caso le dita si tocchino. Per la prima volta. E quando succede si scappa tutti e due. Non ha niente a che vedere con la voglia di farlo. E’ come un limite che non si oltrepassa. La sensazione è quella di una scossa elettrica. Sì, entrambi prendiamo un tovagliolo che cade. Uno sguardo furtivo, le dita si toccano. Scusa, io, scusa lui. Non c’è ancora intimità. Chissà come sarà. L’intimità. Chissà se sarà un continuo bisogno di toccare con mano se ci sei, se sei qui col cuore. Ancora non so, per ora cucino, cucino, cucino. E basta.

Queste alici marinate sono buonissime. Abitano in un barattolo di vetro. Non le ho fatte io, le ho comprate in pescheria, sotto l’ufficio. Mi ispiravano. Così le prendo una per una. Come le metto, dove le metto. Ecco questo piattino bianco è delicato come loro, sottile come loro. Si toccano. Loro si toccano. Sembra quasi una grande scossa. Aggiungono pochissimo peperoncino e dei capperi. Come antipasto non è mica male. Pensiamo al sapore, adesso. Quella scossa ancora la sento. Viene voglia di rifarlo. Buttare per terra quel tovagliolo. Sì, di nuovo. Di nuovo e di nuovo.

DEDICA Episodio di linguaggio che accompagna ogni regalo amoroso, sia esso reale o progettato, e, più in generale, ogni gesto, effettivo o interiore, per mezzo del quale il soggetto dedica qualche cosa all’essere amato. Da Frammenti di un discorso amoroso pag. 65

POMODORI PACHINO COMPLETAMENTE DEDICATI A PICCOLE MOZZARELLE DI BUFALA.

Ma quante volte si dedica qualcosa a qualcuno? Si dedica una canzone, si fa una dedica su un libro, alla radio, si dedica una vittoria. Io mi dedico e basta. Ma non sempre l’altro se ne accorge. Dedicarsi non vuol mica dire annullarsi. Dedicarsi è un po’ come offrirsi, offrire il proprio tempo, i propri pensieri, le cose che si sanno fare. Io gli sto dedicando un pasto di 21 portate, il che vuol dire tempo, risorse, idee, capacità. Lo capirà? Mi capirà? Apprezzerà? Ci sono uomini per cui non ti dedichi mai abbastanza. O almeno più ti dedichi, più pensano che tu ti debba dedicare. Fino a che tu non hai più risorse da dedicare a te stessa. No questa volta non ci casco. Giuro. Dedicherò quello che serve. Ma, c’è veramente un equilibrio nell’amore?  Cos’è quello che serve? Non è invece una sorta di esuberanza, esagerazione, spontaneità senza controllo, questo sentimento?

Ma quarda questo pomodoro come si adagia su quella mozzarellina di bufala. In mezzo c’è un cuscino di zucchine, per rendere l’adagiarsi più piacevole e morbido. E poi un filo d’olio buonissimo. Basta, mangialo tutto insieme e chiudi gli occhi.

ESILIO Decidendo di rinunziare allo stato amoroso il soggetto si vede con tristezza esiliato dal proprio immaginario. Da Frammenti di un discorso amoroso pag. 87

E’ vero, quando si perde un amore si perde un’immaginario.

La mente è come esiliata.  Quando un amore finisce, è tutto un mondo che si chiude. Non si dicono più certe parole, si perde la possibilità di dire “io ti amo”. Non si fanno più le cose per abitudine. Poi piano piano la vita ritorna a scorrere nelle vene, quello che ti piaceva lo riprenderai in mano, e lo ributterai nel tuo mondo. Troverai qualcuno che aspetta di nuovo quelle parole. Tutto il resto si butta via, nei ricordi.

Ma quando invece un amore non finisce, quando sei per forza lontano, come puoi essere qui con il pensiero? Ci sono tanti modi per essere lontani, uno solo di essere qui.

Se io sento che tu sei qui, e invece sei a migliaia di chilometri di distanza, posso trovare mille modi per tenerti vicino, metterti in valigia una lettera al giorno da aprire quando ti svegli, usare tutti i modi possibili per raggiungere il tuo cuore, compresa la telepatia. Ma se tu sei qui davanti a me a questa tavola, e sei lontano, allora non possiamo fare niente per noi. Mi è capitato nel passato, di aver perso anche le parole.

Ma adesso che ci sei, che meraviglia quando gli occhi svelano la tua presenza. Quegli occhi azzurri del colore del mare. Tutto quello che fai mi ricorda il mare. Quel ritmo lento delle onde. Ecco allora che la quinta portata viene proprio da una barca a vela, ormeggiata in una laguna in mezzo alla nebbia. Fuori tutto è bianco. Tutto è silenzio. Una barca quasi in esilio. Dentro tre amici si raccontano i loro pensieri. Io so che sono nella nebbia. Sono in cammino, per dove, ancora non lo so. E’ la metafora di questa vita. Allora cerco i sapori di casa. Per ritrovare la strada. Del cuore. Tutto viola: il radicchio, la pasta di olive, il salame, il vino. Il mio colore preferito. The New Pink, l’ho chiamato in riunione l’altro giorno.

EX SAPORI DI CASA CHE FUNZIONANO DA RICORDI: RADICCHIO IN AGRODOLCE

Un litro di vino bianco, mezzo litro di aceto di mele, 2 etti di zucchero, due etti di sale. Mettere tutto a bollire, per farne la salamoia.

Prendere radicchio di Treviso o Spadone. Scottare nella salamoia che bolle per tre minuti. Far raffreddare su un canovaccio. Mettere in barattolo, schiacciare bene, e coprire di olio. Chiudere bene il barattolo, metterlo un quarto d’ora a bollire in un pentolone coperto di acqua.

“Giorni beati.”

FESTA Il soggetto amoroso vive ogni incontro con l’essere amato come una festa.

Werther:”Questa notte, tremo nel dirlo! l’ho tenuta fra le mie braccia, l’ho stretta forte contro il mio petto e ho coperto di baci infiniti la sua bocca che sussurrava parole d’amore; lo sguardo mi si perdeva nell’ebrezza del suo! Mio Dio! sono colpevole se sento ancora adesso la beatitudine, se rivivo pieno d’ardore quelle gioie cocenti?”(Non significa dunque niente, per voi, essere la festa di qualcuno?) Da Frammenti di un discorso amoroso pag. 96

Sono una che adora far festa. Far festa, anche se non c’è un motivo particolare. Far festa è un modo di disporsi nei confronti della vita. Significa mettere allegria quando non ce n’è, significa sorprendere chi non se lo aspetta, significa entrare con il sorriso in una stanza dove gli altri sono tutti cupi.

Qui a tavola siamo in silenzio. A me batte il cuore da quando è entrato. A lui batte il cuore. L’ho sentito forte per sbaglio. Non mi è mai successo niente di simile. Ogni secondo con lui, è una festa. Stasera per far festa ho preparato un piatto di spaghetti allo scoglio, vongole, gamberi, cozze.

SPAGHETTI ALLO SCOGLIO CHE FANNO ALLEGRIA SOLO A VEDERSI.

Metto olio e due spicchi di aglio in una padella. Quando sono rosolati li tolgo. Incido i gamberi sull’addome e li metto a rosolare. Poi aggiungo le cozze lavate sotto l’acqua corrente per togliere le impurità e fatte aprire in un tegame, con un cucchiaio di fumetto di pesce. In un altro tegame faccio saltare altri due spicchi d’aglio e metto a cuocere i pomodorini precedentemente scottati, spellati e strizzati (per fargli perdere il liquido e i semi), e tagliati a pezzettini, fino a quando non si saranno asciugati. Poi aggiungo le vongole a gamberi e cozze e le faccio aprire. Alla fine unisco i pomodori. Scolo gli spaghetti al dente, aggiungo prezzemolo tritato e un filo di olio a crudo. Qui ci sta bene un bel bicchiere di Chablis, intenso, persistente ed elegante. Al naso si avvertono immediatamente sentori di frutta, fiori e alcuni tocchi minerali. Al palato risulta secco e morbido, con una buona rotondità. Cambiamo vino dunque.

GELOSIA “Sentimento che nasce nell’amore e che è cagionato dal timore che la persona amata preferisca qualcun altro.” (Littré) Come geloso, io soffro quattro volte: perché sono geloso, perché mi rimprovero di esserlo, perché temo che la mia gelosia finisca col ferire l’altro, perché mi lascio soggiogare da una banalità: soffro di essere escluso, di essere aggressivo, di essere pazzo e di essere come tutti gli altri. Da Frammenti di un discorso amoroso pag. 97-98

Leggo queste parole e mi dico: non voglio più vivere neanche un minuto della mia vita così. Non sono gelosa. Ma amo le situazioni chiare. Che chi ti tiene sulle spine per anni. Adotta un gioco subdolo, una strategia di piccoli ricatti, nasconde sempre qualcosa per avere in mano il controllo del gioco. E se protesti, ti risponde che non deve rendere conto alla maestrina. Per me tutta questa storia che in amor vince chi fugge, è uno stupido gioco al massacro. Certo so fare la preda che fugge, ma mi sembra di avere a che fare più con il gioco di seduzione, che con l’amore. Passare all’amore, è come passare al livello superiore, dove l’altro ha la sua libertà nel rispetto del tuo ruolo e del tuo sentire.

La mia libertà finisce dove inizia la tua e viceversa. Mi piace che l’altro faccia cose che ama, e veda persone con cui ha un’amicizia, che forse io non posso condividere. Così anche per me. Passare all’amore, significa non prendere scorciatoie che rendono banali anche gli amori più belli.

Passare all’amore, significa darsi senza remore, essere dentro la relazione con coraggio, non scappare di nascosto appena si può e nascondersi dietro ad un filo d’erba. Passare all’amore, significa usare tutti i canali disponibili per comunicare, ognuno con il suo codice diverso e poi rimettere insieme tutti i pezzi in una sorta di caccia al tesoro. Comunicare, parlarsi, condividere, invece di chiudersi, nascondersi e scappare. Mica poco.

Lui sarà geloso? Un po’ certo, la gelosia è parte dell’amore. Mi piace anche, che sia un po’ geloso. Ma se è uno che mi tiene di nuovo sulle spine, uno che fa piccoli esercizi di seduzione con le altre, grazie no. Già dato. E mi fa vomitare. A guardarlo non mi sembra, c’è verità nei suoi occhi. Glielo chiedo? Non glielo chiedo? Non glielo chiedo. Aspetto ancora qualche portata.

GELOSIA DI RADICCHO CHE VOLEVA IL CURRY TUTTO PER SE’ NEL RISOTTO

Questa è la storia di un mazzo di radicchio di Treviso, che dopo aver conosciuto il curry, lo ha amato per quella sua aria così esotica. Ma proprio quella diversità che tanto l’aveva attratto, era una minaccia, troppe cose li portavano ad allontanarsi. Così un giorno folle di gelosia, lo ha legato dentro ad un risotto, e lo ha tenuto stretto a sè, per farlo sciogliere in un mix di colori e profumi che avevano il sapore dell’amore.

 

Rosolare la cipolla nel burro, poi aggiungere il riso e farlo saltare nel burro, aggiungere il radicchio e bagnare con un bicchiere di vino bianco. Far evaporare il vino, poi aggiungere il brodo. Quando il riso è al dente, aggiungere 2 cucchiaini di curry. In ultimo mantecare con il parmigiano.

HOT come PASSIONE. Non c’è traccia della parola passione nel libro. Non è una figura forse? Io non so immaginare un amore senza passione cocente. Ma forse cercando fra le pagine a pagina 61 c’è CORPO. Ogni pensiero, ogni emozione, ogni interesse suscitato nel soggetto amoroso dal corpo amato.

Non saprei descrivere, senza entrare in dettagli, ma è come una febbre. Che non ti lascia mai. Che è diversa ogni volta, più intensa, più potente, più dolce, più tenera, più penetrante, più creativa. Un’immagine sale alla mente. Un’onda lentissima del mare, che ti prende, ti avvolge, ti stordisce, per poi tornare di nuovo, più intensa, più bella, più tenera, per poi tornare al mare e ritornare lentissima, sempre nuova, sempre sorprendente. E torna, e torna, e torna. E non è mai abbastanza.

PASSATINA DI CECI CON ANIMA PASSIONALE ALLA PAPRIKA

Mettere i ceci a bagno per una notte intera.

La mattina dopo, mettere olio extra vergine di oliva e uno spicchio di aglio in una padella e insaporire i ceci. Aggiungere acqua, con erbe, sale e pepe, o brodo di verdura, coprire e far cuocere fino a che sono morbidi. Quando sono cotti, sbucciarli uno per uno come fossero lupini. Poi frullare il tutto (togliendo lo spicchio di aglio) fino ad ottenere una passatina morbida. Insaporire e dare colore con la paprika dolce, secondo gusto e capacità di sopportare una forte passione. Guarnire con un fiore giallo arancio.

INCONTRO “La figura fa riferimento al periodo felice che è immediatamente seguito al primo smarrimento, quando, quando ancora non erano sorte le difficoltà del rapporto amoroso”

Bouvard e Pécuchet

Chateaubriand: Nell’incontro, io mi meraviglio per aver trovato qualcuno che, con pennellate consecutive e ogni volta precise, porta a termine senza cedimenti il quadro del mio fantasma; io sono come un giocatore la cui fortuna non si smentisce e che al primo colpo gli fa mettere la mano sul pezzo che va a completare il puzzle del suo desiderio. E’ una scoperta progressiva (quasi una verifica) delle affinità, delle complicità e intimità; e tutto questo io potrò condividerlo per sempre (almeno penso) con un altro che, da quel momento sta per diventare il “mio altro”: io sono tutto proteso verso questa scoperta (ne tremo), al punto che qualsiasi curiosità intensa provata per un essere incontrato equivale in fondo ad amore. (….). Ad ogni istante dell’incontro, io scopro nell’altro un altro me stesso: Le piace questo? To’, anche a me! Non le piace quello? Neanche a me! Quando s’incontrano, Bouvard e Pécuchet non smettono più di elencare, con reciproca meraviglia, i gusti che hanno in comune: si tratta a quanto pare di una vera e propria scena d’amore. L’incontro pone il soggetto amoroso (che è già estasiato) nello sbalordimento di chi si trova a vivere un fatto soprannaturale: l’amore appartiene alla sfera (dionisiaca) del Caso.

Che dire , questa cosa almeno una volta nella vita la si prova. Io quardo il mio ospite e mi stupisco. Le affinità sembrano incredibili. Col tempo qualcosa che non si combina si scoprirà? Ma non è forse che quando questa forte sensazione si ripete qualche volta nella vita, è perchè nei diversi momenti cerchi qualcosa di diverso? Forse ci sono momenti in cui cerchi diversità, altri in cui cerchi affinità. Benigni su YOU TUBE sta dicendo che l’amore è come la morte: o sei innamorato o non lo sei, o sei morto o non lo sei. Non puoi essere troppo morto. Quindi non puoi essere più o meno innamorato, non esiste il troppo amore. C’è una misura dell’amore che non va nè su nè giù. Mi piace. Poi dopo l’amore c’è la relazione. Ci sono combinazioni che non funzionano. E una combinazione sbagliata può far male al sentimento. Quindi bisogna costruire la relazione. E costruirla significa capirsi. Tutto quello che impedisce il comunicare nella relazione, porta alla morte dell’amore. Credo che il nocciolo sia questo.  Gli amori finiscono perchè la relazione non funziona; è vero anche il contrario.

Chissà come funziona la relazione tra il sapore di una zucca e il profumo di una cipolla rossa?

INCONTRO CASUALE DI ZUPPA, CIPOLLA ROSSA E PUNTE DI CERFOGLIO

Che colori questa zuppa. Già fotografarla è bellissimo. I miei colori preferiti. Arancio e viola. Diversi e complementari. Io ci ho creduto tantissimo nella diversità che genera creatività. Ma forse era la differenza di sensibilità il problema. Perchè zucca e cipolla, dolci, acquistano la stessa consistenza. Se la consistenza si esprime nel contrasto, materie sensibilmente diverse non si amalgano e non potenziano il gusto.

Fare un soffritto di cipolla rossa nell’olio extravergine d’oliva. Quando la cipolla è morbida mettere la zucca a pezzetti. Per avere maggior consistenza aggiungere patate a pezzettini. Mescolando, lasciare ammorbidire. Aggiungere a poco a poco il brodo vegetale,  legare il cerfoglio in un mazzetto, metterlo nella padella per far insaporire la zuppa, poi aggiungere quando serve altro brodo, lasciando cuocere 2530 minuti a fuoco dolce. Levare dal fuoco e frullare il tutto, aggiustando di sale.

Una volta ottenuta la consistenza desiderata, aggiungere del pepe macinato fresco, un pizzico di cannella in polvere  e un filo di olio extravergine d’oliva. Servire la crema calda, accompagnata da Parmigiano o altro formaggio dolce e crostini di pane.

LETTERA

La figura prende in esame la particolare dialettica della lettera d’amore, che è insieme vuota (codificata) ed espressiva (piena della voglia di esprimere il desiderio).

Freud:  Lettere 1873 – 1939, 26. “Essendo desiderio, la lettera d’amore attende la sua risposta; essa ingiunge implicitamente all’altro di rispondere: se questo non avviene, la sua immagine si altera, diventa altra. ….. Continui monologhi sull’essere amato, cui manchino un correttivo e un rinnovamento da parte dello stesso oggetto amato, portano a farsi idee sbagliate sul rapporto reciproco e all’estraniamento, quando ci si trova di nuovo e ci si sente diversamente da come si era creduto, senza garanzia.” Frammenti di un discorso amoroso, pag.128

Non c’è niente di piu’ bello di ricevere una lettera scritta a mano. O di ricevere un taccuino pieno di parole scritte a matita. Soprattutto adesso, nel mondo delle mail, degli sms, di facebook e di twitter. La lettera scritta a mano rivela la giusta intensità di quello che, chi scrive, vuole dire. La nitidezza del segno, la pressione sulla carta, l’ordine delle parole, il disordine della punteggiatura, le cancellature, i ripensamenti, la sovrapposizione delle lettere, la fretta nello scrivere, sono tutti segnali deboli che completano il contenuto. Con mail e sms è diverso, capita per esempio di essere più disinibiti di come si è in realtà. E si costruiscono immagini di persone che poi in realtà sono altre.Avere una lettera in mano, chiusa: paura, curiosità, non sai se aprirla. E’ sicuramente una cosa importante. Io alcune lettere ricevute in momenti difficili le tengo nel comodino. Le ho lette una volta sola, ma non ce l’ho mai più fatta ad aprirle, anche dopo tanti anni.

Ecco la mia lettera di oggi: un’orata al cartoccio in carta da forno profumata al pepe rosa.

ORATA A SORPRESA IN UN MARE DI PEPE ROSA

Prendere un’orata e pulirla togliendo le scaglie.

Farcirla con aglio, olio, sale grosso (anche aromatizzato), pepe rosa, prezzemolo e ogni altra erba di stagione. Bagnare con un filo d’olio e poi chiudere in un cartoccio con carta da forno e legarla con lo spago alimentare. E’ carino farlo anche con altri pesci a trancio, tipo spada, tonno, salmone, tagliandone dei bocconi di 45 centimetri di lato e fare dei piccoli pacchettini da disporre sulla piastra del forno. Mettere in forno a 180 ° per una ventina di minuti. Poi togliere dal forno e aprire il cartoccio direttamente a tavola. Il pepe rosa viene dalla Turchia, arrivato ieri da Istanbul. Regalo di Margherita.

MAGIA Nella vita del soggetto amoroso, non importa a quale cultura esso appartenga, non mancano mai le consultazioni magiche, i piccoli riti segreti e le azioni votive.

Confidenza di X…: “La prima volta, accese un cero in una piccola chiesa italiana. Restò colpito dalla bellezza della fiamma e il gesto gli parve meno idiota. E allora, pensò, perché privarsi del piacere di creare una luce? Perciò ricominciò, associando a quel gesto delicato (piegare il cero nuovo verso quello già acceso, sfregare leggermente i loro stoppini, prendere piacere vedendo che il fuoco s’accendeva, riempirsi gli occhi di quella luce intima e forte) voti sempre più vaghi che -per paura di scegliere – coinvolgevano “tutto ciò che non va bene nel mondo”. Frammenti di un discordo amoroso, pag. 132 – 133

Ognuno hai i suoi riti magici. Poi che ci creda o no, non ha grande importanza. Io colleziono oroscopi, con predilezione per quello di Rob Brezsny pubblicato il mercoledì, che poi diventa quello di Internazionale il giovedì pomeriggio. E’ divertente, e mette sempre a fuoco dinamiche positive. C’è una sorta di rituale che seguo ogni settimana: leggo prima il mio, e poi subito dopo quello delle persone importanti della mia vita, cercando di costruire una sorta di mappa delle energie mentali della settimana. Energie buttate? Forse. Ma perchè privarsi del piacere di creare una luce che illumina qualche metro davanti a me?

C’è il bellissimo e gustosissimo libro di Tiziano Terzani Un indovino mi disse (1995) in cui racconta il suo viaggio in Asia alla ricerca di profezie e indovini.

Nel 1976 ad Hong Kong un indovino cinese predice a Terzani che il 1993 sarà un anno in cui rischierà la vita se utilizzerà l’aereo. Alla fine del 1992 si ricorda della profezia e decide – più per gioco che per paura – di tenerne conto: trascorrerà quindi l’intero 1993 senza utilizzare mai aerei ed elicotteri. Ottenuto dal giornale per il quale lavora (Der Spiegel) il permesso di vivere un anno muovendosi solo per terra e mare (cosa inconsueta per un giornalista), Terzani festeggia il capodanno 1993 in Laos dove si trova per motivi professionali, e si appresta a trascorrere l’anno rispettando la profezia, ma anche incontrando ogni sorta di indovini e astrologi a cui chiedere conferma sulla profezia stessa. Così per un anno incontra indovini, maghi e stregoni, in un intreccio continuo fra mondo magico e mondo religioso, che guarda con arguzia, con curiosità e con grande rispetto come a voler dire che la realtà acquista significato solo se guardata da innumerevoli punti di vista.

Ma la verità sta in questo brano tratto dal libro: … La profezia era la scusa. La verità è che uno a cinquantacinque anni ha una gran voglia di aggiungere un pizzico di poesia alla propria vita, di guardare il mondo con occhi nuovi, di rileggere i classici, di riscoprire che il sole sorge, che in cielo c’è la luna e che il tempo non è solo quello scandito dagli orologi. Questa era la mia occasione e non potevo lasciarmela scappare

E’ così che voglio guardare alla vita adesso, con un occhio alle belle persone, a quello che mi raccontano, a quello che intravedo nei loro occhi quando mi parlano, e con l’altro a tutto quello che c’è di buono in ogni situazione, quale che sia, il tutto condito da un po’ di poesia. Voglio godermi il tempo dilatato nello spazio, fatto da momenti che vale la pena ricordare. Ops.. ma di che segno sarà?

MAGIA DI NEVE CON SUCCO DI BASILICO

C’è per forza qualcosa di magico in questa ricetta.Intanto deve nevicare. Con un cucchiaio ho messo la neve in un bicchiere. Poi ho preso del basilico fresco, l’ho tritato e poi passato nel mixer. Ho salato e unito alla neve. Un attimo e scompare. Giusto l’attimo che serve per passare dal pesce alla carne.

Gli occhiali scuri

NASCONDERE Io posso fare tutto con il mio linguaggio, ma non con il mio corpo. Ciò che riesco a nascondere con il mio linguaggio il mio corpo lo dice. Posso modellare a mio piacimento il mio messaggio, ma non la mia voce. Qualunque cosa essa dica, dalla mia voce l’altro si accorgerà che “ho qualcosa”. Sono bugiardo (per preterizione), ma non so recitare. Il mio corpo è un bambino cocciuto, il mio linguaggio è un adulto molto evoluto………sicché una lunga serie di sforzi verbali (le mie “gentilezze”) potranno tutt’a un tratto esplodere in una revulsione generalizzata: una crisi di pianto (per esempio) davanti agli occhi esterrefatti dell’altro, vanificherà d’un sol colpo gli sforzi (e gli effetti) di un linguaggio troppo a lungo calibrato. Esplodo: conoscerai alfine Fedra e tutto il suo furore. Racine. Frammenti di un discorso amoroso, pagg. 140-141

Ecco io sono proprio così.

Il corpo parla per me. Un ombra nello sguardo, un tentennamento nella voce, una contrazione del volto, il sorriso che sparisce all’improvviso, una mano che si lascia sfuggire la sua mano, un abbraccio legnoso. Ma sono segnali deboli, quasi impercettibili, che solo una sensibilità fine riesce ad interpretare. E nascondo anche a me stessa, fino a che la situazione emotiva diventa insostenibile e allora esplodo. So che è pericoloso. So che poi l’altro fatica a comprendere. So che non sa dove sta il bandolo della matassa.

Come uscirne: segnali deboli + comunicazione? Non aver paura del conflitto? Non rimuginare sulle cose dette e quelle non dette fino a creare dei fantasmi?  E se poi sarà troppo tardi? Se tutto dopo l’esplosione è andato in frantumi? Se avessi parlato a chiare lettere nel tempo invece di mandare messaggi chiari solo a me stessa? Ma per parlare ci deve essere disposizione all’ascolto. E quando ti rendi conto che l’altro non ascolta per abitudine, smetti di parlare del tutto. Così è andata. E tu sai ascoltare?

GRATIN DI CAVOLFIORE ED ACCIUGHE NASCOSTO SOTTO UNA COLTRE DI BESCIAMELLA

Pulire e mondare un cavolfiore. Mettere in padella dei filetti di acciughe e far rosolare fino a che diventano morbidi e si sciolgono. Aggiungere il cavolfiore tagliato a pezzi e far dorare. Coprire la padella con un coperchio e girare ogni tanto. Aggiungere un po’ di peperoncino, secondo il gusto. Preparare una besciamella leggera. Imburrare una piccola teglia,  aggiungere il cavolfiore unito ad una parte di besciamella, poi coprire con un cappello fatto con la besciamella rimasta. Spolverare con parmigiano misto a pane grattuggiato. Mettere in forno a 180° e far dorare. Servire fra pesce e carne come piatto di mezzo. P.S. Molto carino servito in piccolissime monoporzioni.

Il nastro. OGGETTI. Ogni oggetto che sia stato toccato dal corpo dell’essere amato diventa parte di questo corpo e il soggetto vi si attacca appassionatamente. Werther moltiplica i gesti di feticismo: bacia il nastro rosa che Carlotta gli ha regalato per il suo compleanno, bacia il biglietto che lei gli manda (anche a costo di imbrattarsi la bocca di sabbia), bacia le pistole che lei ha toccato. Dall’essere amato emana una forza che niente può fermare e che impregna tutto ciò che esso sfiora anche solo con lo sguardo: se, non potendo andare a trovare Carlotta di persona, Werther le manda il suo domestico, è il domestico, sul quale essa ha posato lo sguardo, che diventa per Werther una parte di Carlotta (“Avrei voluto prendergli la testa fra le mani e baciarlo, se nonme ne fossi vergognato”). Werther: 67. Frammenti di un discorso amoroso, pag.146

Certo gli oggetti diventano importanti. Non per il loro valore intrinseco, ma perchè latori di un messaggio, ricordi di un momento, perchè sostituiscono, sebbene in modo maldestro, la presenza dell’altro. Mi sono ritrovata ad accarezzare un taccuino, dico un taccuino!

Chi in un momento di solitudine non ha baciato una fotografia? Magra consolazione, ma pur sempre qualcosa. Poi di colpo, quando l’amore finisce, quegli oggetti diventano improvvisamente scomodi, improvvisamente ingombranti, improvvisamente si riempiono di energia negativa. Nei film le donne buttano tutti gli oggetti dalla finestra, per vendetta, per liberarsi di ogni significato, di ogni ricordo. Se poi voglio parlare al cuore, lasciare una parte di me, scelgo un oggetto al giorno, come fosse complemento di un discorso d’amore. Una sorta di rebus cifrato che parla per immagini, per forma, per funzione, per cultura. Spesso quando non si sa cosa dire si fa un regalo; si delega al regalo la parola che non viene. E’ una scorciatoia, è tanto più facile. Ma io preferisco mille parole che vengono dal cuore, a mille regali che vengono dal portafoglio.

Adoro invece gli oggetti fatti a mano: dentro in regalo c’è il tempo, la tensione emotiva, l’abilità, la dedizione, un’idea.

E allora oggi ho fatto una collana di perle:

PERLE DI TACCHINO ALLE VERDURE CON SCAGLIE DI MANDORLE

Tagliare il tacchino a dadini di 1 cm, insieme a zucchine, carote, patate, cipolla, sedano, tutto tagliato a dadini piccolissimi.

Mettere in padella le verdure con olio extravergine e far rosolare, fino a che diventano dorate. Infarinare il tacchino, poi aggiungerlo alle verdure, fino a che si rosola da tutti i lati. Aggiungere del vino bianco, sale e pepe, far asciugare. Solo alla fine aggiungere un cucchiaio di soia e le mandorle a scaglie, precedentemente tostate in forno a 60° per 5 minuti.

PAZZO Il soggetto amoroso è colto dall’idea di essere o di diventare pazzo. Sono pazzo ad essere innamorato, non lo sono per il fatto di poterlo dire: sdoppio la mia immagine: dissennato ai miei occhi (ho coscienza del mio delirio), semplicemente sconsiderato agli occhi degli altri, a cui racconto molto assennatamente la mia pazzia: cosciente di questa pazzia, discettando su di essa………Si dice che ogni innamorato sia pazzo. Ma si può immaginare un pazzo innamorato? No, certo. Io ho solamente diritto a una follia povera, incompleta, metaforica: l’amore mi rende come pazzo, ma io non comunico con il soprannaturale, non sono pervaso dalla sacralità; la mia follia, semplice stoltezza, è piatta, per non dire invisibile; per di più la cultura l’ha totalmente addomesticata: essa non fa paura. (E tuttavia è proprio nello stato amoroso che certi soggetti pieni di buonsenso intuiscono che la follia è lì davanti, possibile, vicinissima: una follia che travolgerebbe l’amore stesso) Werther, 115 – 18 Frammenti di un discorso amoroso, pag. 152

Ieri mentre con un ago da lana infilavo perle di tacchino e zucchine, i miei figli mi guardavano senza sorprendersi più di niente. Sono talmente abituati alla mia pazzia, che trovano tutto normale. Quando ne ho parlato con mio figlio, mi ha semplicemente risposto: “Non la considero pazzia, semmai creatività o genialità.” Quasi 16 anni, un grande futuro da creativo.

Mi ha sempre attratto il tema della pazzia, adoro l’Elogio della follia di Erasmo da Rotterdam e soprattutto l’Orlando Furioso che ho letto ben sei volte. Ho avuto un amico veramente pazzo, che ad un certo punto della sua vita si è spogliato di tutto e ha passato giorni e notti a guardare le stelle. Ma la pazzia amorosa non è altro che fuoco di energie positive, che ti fa pensare, così senza motivo, “io sono felice”, quella pazzia che ha reso furioso Orlando, innamorato di Angelica. Quella pazzia che ti fa guardare il mondo non in 3D, ma a sei dimensioni, e forse ce n’è ancora qualcuna che non hai scoperto. Quella pazzia che alla fine si traduce in piacere di vivere ogni minuto della tua vita, non importa quale sia e come sia. Beh, quando ti capita la devi tenere stretta, che sennò scivola via, come la sabbia tra le dita.

Come fa questa zucchina con quest’uovo.

UOVO STRAPAZZATO DA UNA ZUCCHINA COMPLETAMENTE PAZZA DI LUI.

Far bollire un uovo sodo e farlo raffreddare. Tagliarlo a fette tutte uguali. Mettere da parte un po’ del rosso, sbriciolarlo, mischiarlo ad olio extravergine e piccole foglie di mentuccia. Mettere a rosolare in padella le fette di zucchina, fino a farle dorare, salare e pepare. Poi alternando una fetta di uovo e una di zucchina costruire una piccola torre e ricoprire di uovo sbriciolato.

Quando torni?

IL LANGUOR D’AMORE Intangibile condizione del desiderio amoroso, provato nella sua carenza, al di fuori di ogni voler-cogliere.

” e tu mio altro senti un po’ quando ti deciderai a rispondermi ho nostalgia di te ho voglia di te sogno di te per te contro te rispondimi il tuo nome è un profumo diffuso il tuo colore spicca tra le spine fà che il mio cuore si riabbia con del vino fresco fammi una coperta di mattino io sto soffocando sotto questa maschera pelle drenata livellata niente esiste a parte il desiderio. Sollers, Paradis. Frammenti di un discorso amoroso, pag. 124

Ci sono momenti in cui la mancanza è insopportabile. Ci sono momenti in cui niente, ma proprio niente, funziona. A pensarci non dovrebbe succedere, in fondo abbiamo tante risorse, la testa compensa. Quando mi succede non riesco a fare niente. Mi metto a dormire e non ci penso più. Dicono che la mattina siamo più razionali, è qualcosa che ha a che fare con la chimica o la fisica. A me succede. Quando mi alzo tutto diventa oggettivo. Poi con il passare  delle ore, prima la nostalgia, poi il languore, insomma una fame pazzesca. Certo siamo strane creature. Io continuo a cucinare, ormai siamo quasi alla fine di questo pranzo e non ci siamo ancora detti una parola. Ma che discorso fra di noi. Ho l’impressione che parlerà dopo, che le parole arriveranno tutte insieme alla fine del pranzo. Farò indigestione.

FANTASIA DI CHAMPIGNON LANGUIDAMENTE ADAGIATI L’UNO SULL’ALTRO

Pulire gli champignon con una spazzolina senza rovinarli. Tagliarli a fettine sottilissime. Metterli in padella a fuoco alto, olio e pepe rosa. Far cuocere velocemente. Aggiungere sale e prezzemolo.

 

RISVEGLIO Modi diversi in cui il soggetto amoroso si ritrova, al suo risveglio, nuovamente assalito dall’assillo della passione.

Risvegli tristi, risvegli strazianti (di tenerezza), risvegli bianchi, risvegli innocenti, risvegli pieni di sgomento (Octave si risveglia da uno svenimento: “A un tratto gli vennero in mente le sue sventure: non si muore di dolore, altrimenti egli sarebbe morto in quell’istante”). Stendhal, Armance, 102. Frammenti di un discorso amoroso, pag. 175

Una persona che conosco e che ha perso un figlio, mi diceva che sopportava tutto, ma non il risveglio della mattina. Ad ogni risveglio realizzava che il figlio era morto davvero e il dolore era straziante. Ma svegliarsi accanto all’uomo che ami è impagabile. Ritrovarsi di nuovo dopo l’oblio, è come scegliersi ogni volta. Ti rendi conto se ami un uomo per davvero, quando brami per dormire con lui. Altrimenti cerchi solo di scappare e di trovare conforto a casa tua. Ci sono risvegli dolci, pieni di tenerezza, che vorresti durassero una giornata intera, per trasformarsi in sogni e di nuovo in risvegli. C’è il risveglio della passione sopita, quando ti sei dimenticato come era e la riscopri come fosse nuova. C’è il risveglio del desiderio, ogni qual volta la mente pensa a quella persona lì. Ci sono risvegli amari, quando ti ricordi che il tuo amore è lontano e non sai quanto tempo passerà prima che torni. O hai il dubbio che non tornerà più.

Quando si risveglia la voglia di sentirti veramente te stessa, allora prendi in mano la tua vita e scegli cosa lasciare e cosa tenere stretto in pugno. Qualcosa di quello che lasci andare magari ritornerà in forma nuova, e allora si risveglierà la curiosità di andare a vedere come è veramente. E magari tutto si risveglia. Si dice “risvegliarsi a nuova vita”, “domani è un altro giorno”, e un altro giorno è sempre una promessa di nuove avventure. Ora vado a dormire, e vorrei risvegliarmi con una tazza di dolcezza.

TAZZINA DI MOUSSE AU CHOCOLAT CON SCAGLIE DI MANDORLE

cioccolato fondente 150g

uova 5

mandorle in scaglie qb

Far sciogliere il cioccolato spezzettato  a bagno maria. Evitare sempre che acqua tocchi il cioccolato Separare i tuorli dagli albumi. Fuori dal fuoco, aggiungere i tuorli, uno ad uno, al cioccolato. Montare gli albumi a neve e incorporarli delicatamente al composto di cioccolato. Sbriciolare una parte delle mandorle ed unirle al tutto. Versare la mousse in tazzine da caffè, decorarle con 4 petali di mandorla e metterle al frigo per almeno 2 ore prima di consumare.

 

L’incertezza dei segni.

 

SEGNI. Sia che voglia dar prova del suo amore, sia che si sforzi di decifrare se l’altro lo ama, il soggetto amoroso non ha a sua disposizione nessun sistema di segni sicuri.

 

1. Io cerco dei segni, ma di che cosa? Qual è l’oggetto della mia lettura? E’: sono amato (non lo sono più, lo sono ancora)? E’ il mio futuro che cerco di leggere decifrando in quello che c’è scritto sopra, con un procedimento affine alla paleografia e alla mantica, l’annuncio di ciò che sta per accadermi? Non sarà invece che resto sospeso alla domanda (di cui aspetto instancabilmente dal volto dell’altro la risposta): che cosa valgo io? Balzac

2. Freud alla sua fidanzata:“Mi fa soffrire l’essere impotente a testimoniarti il mio amore”. Freud: Lettere 1873-1939, 23

3. “Tutto nel suo comportamento pareva dire: dato che non mi ama più, non m’importa più di niente. Orbene, io l’amavo ancora, e anzi non l’avevo mai amata tanto; ma non mi era più possibile dargliene la prova. E questa era la cosa più terribile”.

I segni non sono delle prove, dal momento che chiunque può produrne di falsi ed ambigui. Ecco quindi che, paradossalmente, ripiego sull’onnipotenza del linguaggio: poiché niente rende sicuro il linguaggio, io farò del linguaggio la sola e ultima certezza: non crederò più all’interpretazione. Dal mio altro, accoglierò ogni parola come un segno di verità; e, quando a parlare sarò io, non metterò in dubbio che esso prenda per vero ciò che dirò. Di qui, l’importanza delle dichiarazioni; io voglio incessantemente carpire all’altro la formula del suo sentimento e, da parte mia, incessantemente gli dico che lo amo: niente è lasciato alla suggestione, alla divinazione: perché una cosa sia saputa, bisogna che sia detta; ma anche, appena detta, essa è, molto provvisoriamente, vera. Gide: Journal,  1939, 11 Frammenti di un discorso amoroso, pagg. 186-187

 

Ma quanto è difficile capirsi? Quanto è difficile parlare lo stesso linguaggio, dare lo stesso valore allo stesso segno, interpretare la vita allo stesso modo? Perchè a volte mi sembra di aver vissuto una vita diversa da quello che tu mi dici?

Come è possibile? Mi sembra di impazzire. Per me il rosso è il rosso. Ma forse per me rosso è rabbia, è gelosia, è forza, è scudo, cosa è per te rosso? E il verde è speranza per me. Debolezza per te? Qual è il colore della libertà? Quale della gelosia? Quale dell’invidia? Quale della famiglia? Cerchiamo di parlare lo stesso linguaggio. Perchè interpretare? Ho passato una vita ad interpretare: “Chissà cosa avrà voluto dire. ” O forse poi un giorno ho smesso di interpretare e ho iniziato a guardare ai fatti. Mi piacciono gli indizi, i gialli, i rebus, gli indovinelli, ma non in amore. Mi piace la diversità, pensare che ogni cosa possa assumere significati diversi a seconda di chi la legge. Come queste pagine no? Se penso che per noi il bianco è nozze, per gli orientali è funerale, ne sono affascinata. Ma partendo da questo, come costruire un esperanto del’amore, che sia ricco e accolga tutte le diversità, ma che sia comprensibile allo stesso modo per me e per te? Come arrivare a sentire le cose allo stesso modo? Come arrivare a cogliere le stesse sfumature nello sguardo, nei gesti, nelle parole?

Un giorno non ci ritroveremo ad aver vissuto due film diversi, guardando la stessa vita.

COSA SIGNIFICA UN MACARON?

Ricetta base per circa 25 macarons

 

220 gr zucchero a velo

120 gr farina di mandorle

90 gr albume

30 gr zucchero semolato

un pizzico di sale

2-3 gocce di limone

– 2-3 giorni prima preparare gli albumi e conservarli in frigo, in un bicchiere coperto con la pellicola. 6 ore prima di iniziare toglierli dal frigo.

– Mescolare bene zucchero a velo e farina di mandorle, preferibilmente in un robot da cucina usando il tasto a intermittenza, e setacciarli.

– Montare a neve fermissima gli albumi con un pizzico di sale e 2-3 gocce di limone. Al termine abbassare al minimo la velocità delle fruste e aggiungere piano piano lo zucchero semolato. È a questo punto che dovrete aggiungere eventuali coloranti in polvere e/o aromi (la punta di un cucchiaino).

– Incorporare il composto di mandorle e zucchero agli albumi montati in 3 o 4 volte, avendo cura di amalgamare bene ad ogni aggiunta. Fare attenzione a mescolare delicatamente con l’ausilio di una spatola per dolci. Al termine l’impasto dovrà “fare il nastro”, cioè ricadere come un nastro piatto dalla spatola.

– Versare ora il tutto in un sac-à-poche e formare dei piccoli dischi su una teglia rivestita di carta da forno, a 3cm di distanza uno dall’altro. Lasciar riposare a temperatura ambiente per almeno un’ora.

– Infornare nel forno (ventilato) già caldo a 150°C per 13 minuti. Al momento di sfornarli trasferire subito i macarons, ancora attaccati alla carta da forno, su una superficie fredda in modo da creare lo shock termico che ne faciliterà il distacco. Lasciarli riposare ancora un’altra oretta.

– Staccarli con delicatezza ed esercitare una leggera pressione sulla parte inferiore di ognuno.

TENEREZZA Fruizione, ma anche inquieta valutazione dei gesti di tenerezza dell’oggeto amato, nella misura in cui il soggetto comprende che egli non ne ha il privilegio assoluto.

1. Non è solo bisogno di tenerezza, ma anche bisogno di essere tenero con l’altro: noi ci rinchiudiamo in una bontà vicendevole, ci maternizziamo reciprocamente; risaliamo alla radice di ogni relazione, là dove bisogno e desiderio si congiungono. Il gesto tenero dice: chiedimi qualunque cosa che possa sopire il tuo corpo, però non dimenticare che io ti desidero un po’, leggermente, senza voler immediatamente ghermire alcunché. ” Il corpo di suo fratello si stringeva così teneramente a lei, e con tale bontà,  che essa si sentiva riposare in lui come lui in lei; più niente in lei si muoveva, neanche il suo fulgido desiderio” Musil, L’uomo senza qualità. Frammenti di un discorso amoroso, pag.201

Mi dicono che a prima vista non sembro una persona tenera. Ma io lo so, da buon cancro, tendo a difendermi, a metter su la corazza. Per poi cedere a tutta la tenerezza che ho dentro. Il che mi porta ad essere o estremamente tenera o estremamente dura. Il che mi porta a diventare improvvisamente, da tenerissima, parca di gesti affettuosi, se sento che c’è un piccolo problema nella relazione. Divento quasi frigida nei gesti. Non concedo più niente. Mi allontano. Amo la tenerezza, più che l’irruenza, perchè è nei gesti teneri che passa il sentimento. Come quei materiali buoni conduttori di elettricità. Non comprerei mai l’amore, ma comprerei tonnellate di tenerezza, se sapessi dove la vendono. La tenerezza mi commuove. Pensando a qualcosa di tenero per questo pranzo, ho girato lungo e in largo il mercato di Megève, dove una ruvidissima contadina si vantava di fare il migliore Pain aux Epices de la Region. Il miele lo rende morbidissimo al tatto. Ci voleva però una bella corazza per raccontare questo contrasto, e ho trovato questo piccolissimo porta burro in porcellana bianca. Ecco, oggi voglio raccontarmi così.

PAIN D’EPICES

250 grammi di farina integrale o d’avena

100 grammi di zucchero

1 pizzico di sale

1 cucchiaio colmo di spezie macinate (semi di anice, zenzero,cannella,chiodi di garofano,noce moscata)

125 grammi di miele

200 ml di latte intiepidito

1/2 bustina di lievito bertolini

forno a 180°

VERSARE in una ciotola la farina, lo zucchero (bianco o di canna) il sale, le spezie. Mescolare. Versare poi in una terrina il miele e farlo sciogliere a bagnomaria o a micoonde e versarvi il latte; mescolare sino a quando il liquido non sarà tutto bene amalgamato. Aggiungere il liquido alla farina e mescolare molto (almeno 5 minuti) sino a quando non ci sarà alcun grumetto e in ultimo unire il lievito. Mescolare bene. Versare in uno stampo da plum-cake unto con pochissimo olio di semi. Cuocere in forno già caldo per 30 minuti almeno (a me ne sono serviti 50). Fare raffreddare su una gratella e poi spalmare con del miele.

UNIONE

1. ” Nella sua metà, la mia metà riunisco”. Ronsard: Les amours, CXXVII

2. E in quel riposo, trovandosi ad essere uno e senza divisione, senza divisione anche all’interno di sè, al punto che la loro intelligenza pareva smarrita, la loro memoria vuota, la loro volontà inutile, essa stava in piedi, in quel riposo come dinanzi a un sorgere del sole e si perdeva interamente in lui, essa e le sue particolarità terrestri”. Musil, L’uomo senza qualità.

3. (Cosa me ne faccio di una relazione limitata? Essa mi fa soffrire. Non c’è dubbio che se mi si domanda: “A che punto sei con X….”, io devo ovviamente rispondere: al momento, sto esplorando i nostri limiti; comportando come un imbecille qualsiasi, io prevengo, circoscrivo il nostro territorio comune. Ma cià che che sogno, è di avere tutti gli altri in uno solo; poichè se riuscissi a riunire X…, Y…. e Z…, con tutti questi punti che ora sono disseminati, io formerò una figura perfetta: il mio altro sarebbe nato). Simposio 156

Certo la storia delle colonne del tempio. Due colonne troppo vicine non stanno in piedi, non reggono la trave. Ma non è l’unione simbiotica a cui aspiro. Anzi un po’ mi fa paura. Mi chiedo come sia l’unione che funziona; forse si deve stare bene con se stessi tutti e due già da prima, senza buchi o cecità emotive, dopo aver goduto delle proprie vittorie e digerito le sconfitte. In amore se c’è uno che deve essere salvato e uno che salva si fallisce per forza. E’ una storia alla pari, dove si dà e si riceve con la stessa intensità.  Mi piace pensare che tocchi a me. Mi voglio sentire come questo strudel che mette insieme gusti e consistenze diverse in un delicatissimo equilibrio di pesi e misure (la pasticceria è una scienza esatta) per un risultato mai troppo melenso. Lo strudel è il dolce che preferisco in assoluto.

Ricetta dello strudel di Pellegrino Artusi

Non vi sgomentate se questo dolce vi pare un intruglio nella sua composizione e se dopo cotto vi sembrerà qualcosa di brutto vome un’enorme sanguisuga, o un informe serpentaccio, perché poi al gusto vi piacerà.

Mele reìnettes, o mele tenere di buona qualità, gr.500

Farina, grammi 250

Burro, grammi 100

Uva di Corinto, grammi 85

Zucchero in polvere, grammi 85

Raschiatura di un limone

Cannella in polvere due o tre prese

Spegnete la farina con latte caldo, burro, quanto una noce, un uovo e un pizzico di sale per farne una pasta piuttosto soda che lascerete riposare un poco prima di servirvene.

Tirate con questa pasta una sfoglia sottile come quella dei taglierini e, lasciando gli orli scoperti, distendetevi sopra le mele che avrete prima sbucciate, nettate dai torsoli e tagliate a fette sottili. Sul suolo delle mele spargete l’uva, la raschiatura di limone, la cannella, lo zucchero e infine i 100 grammi di burro liquefatto, lasciandone un po’ indietro per l’uso che sentirete. Ciò fatto avvolgete la sfoglia sopra sé stessa per formarne un rotolo ripieno che adatterete in una teglia di rame, già unta col burro, assecondando per necessità la forma rotonda della medesima; col burro avanzato ungete tutta la parte esterna del dolce e mandatelo al forno. Avvertite che l’uva di Corinto, o sultanina, è diversa dall’uva passolina. Questa è piccola e nera; l’altra è il doppio più grossa, di colore castagno chiaro e senza vinacciuoli anch’essa. Il limone raschiatelo con un vetro.

VERITA’ Ogni episodio di linguaggio riferito alla “sensazione di verità” che il soggetto amoroso prova pensando al suo amore, sia che creda di essere il solo a vedere l’oggetto amato “nella sua verità”, sia che definisca la specialità della sua propria esigenza come una verità su cui non può transigere.

1. L’altro è il mio bene e il mio sapere: solo io lo conosco, solo io lo faccio esistere nella sua verità. Chiunque non sia me lo misconosce: “Talora non riesco a comprendere come sia possibile che un altro l’ami, che a un altro sia lecito amarla mentre io l’amo così interamente, così fervidamente, e non conosco, non so, non ho null’altro che lei!” Viceversa, l’altro mi cala nella verità: solo con l’altro io mi sento “me stesso”. Su me stesso, io ne so più di tutti quelli che di me ignorano solo questo: che sono innamorato. Werther: 99

Freud: “Un uomo che dubiti del suo proprio amore può, o meglio deve dubitare di qualsiasi altra cosa meno importante” (citato da M.Klein, 320)

Dove sta la verità? C’è una sola verità oggettiva in una storia, o la verità sta in come ognuno di noi la vive?A questo non avevo mai pensato. E’ vero che quando ami una persona, pensi di aver in mano la sua verità. A me è capitato di difendere a morsi questa bella verità da tutti quelli che si arrogano il privilegio di conoscerlo meglio di te. Una volta stai a sentire, la seconda pure, la terza dici adesso basta. Lo so io quale è la sua bella verità. Punto. Amarsi vuol dire riconoscersi uno nella verità dell’altra. Una dei più grandi dolori in un tradimento è scoprire che la verità è un’altra. Secondo me è questo quello che fa più male. Non riconoscere più la verità. Fatta da momenti di straordinaria trasparenza. Come questo aspic di frutta bianca fotografato contro sole.

ASPIC DI FRUTTA BIANCA AL LIME

Solo ingredienti giallo bianchi, quindi solo arance invernali.

6 arance

2 lime (uno da spremere + uno per conservare la frutta tagliata)

1 scatola di ananas

2 banane

1 pera

1 mela

6 cucchiai di zucchero + 1 da mettere sulla frutta tagliata

30 gr. di colla di pesce

Mettere a bagno la gelatina in acqua fresca. Spremere le sei arance e il lime, filtrare il succo, unirlo al succo d’ananas filtrato e mettere a cuocere con 6 cucchiai di zucchero

Far bollire tre minuti, poi strizzare la gelatina e metterla nel succo. Riportare a bollore per altri tre minuti. Tagliare la frutta a pezzettini, spremere un lime e aggiungere un cucchiaio di zucchero. Mettere un dito di gelatina nelle formine e far raffreddare. Quando è solida unire la frutta e poi aggiungere il resto della gelatina. Far raffreddare tutto in frigorifero per una notte. Guarnire con una fetta di lime e servire.

 

Il libro è finito. Il pranzo pure. Non dire una parola. Non ho più parole neanche io. Baciami. Ora c’è una vita davanti. Quale che sia.

ZENZERO CANDITO CHE TOGLIE OGNI PAROLA DI BOCCA

Lo zenzero è un po’ così. Prima ti sembra dolce poi ti attacca fortissimo, un turbinare di sensazioni diversissime. Come l’amore.

200 g di zenzero, 350 g di zucchero.

Sbucciare lo zenzero con un pelapatate e tagliatelo a fettine di 1/2 centimetro di spessore. Mettete le fettine in un pentolino e coprirle con acqua fredda. Portare a ebollizione e lasciare cuocere per 20 minuti a fuoco basso. Scolare e far raffreddare. Pesare lo zenzero bollito e metterlo in un pentolino con una quantità di zucchero uguale al suo peso. Unire 5 cucchiai di acqua. Cuocere a fuoco bassissimo finchè lo zenzero diventa quasi trasparente (occorrono circa 20 minuti). Spegnere, togliere il pentolino dal fuoco e scolare delicatamente le fettine una per una usando una forchetta. Metterle su una griglia e lasciare asciugare per 3 ore. Versare lo zenzero in un sacchetto per alimenti insieme allo zucchero e scuotere bene. Conservare in un contenitore a chiusura ermetica.

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