di Umberto Pavoncello

Rosh ha shanà è il capodanno ebraico (l’anno segue le fasi lunari) con cui si celebra la creazione del mondo “avvenuta” 5773 anni fa, “bereshit barà helokim” cioè “in principio dio creò”. La parola con cui inizia la torà e, idealmente, la storia dell’universo, è quindi “bereshit” che deriva da “rosh” che significa “capo, testa”.

Letteralmente bisognerebbe tradurre “in principio di” perché è un genitivo ma la frase resta sospesa e non si sa il principio di che. ma se vogliamo, visto che rosh è proprio la testa dell’essere umano, potremmo leggere che è nella testa dell’uomo che dio ha creato il concetto di tempo.

“bereshit barà helokim et ha shamaim ve et ha haretz” cioè “il cielo e la terra”: il mondo e lo spazio in cui la terra gira e si muove. attraverso le rotazioni del globo contiamo le ore, i giorni, le settimane, i mesi e gli anni.

“shanà” ha la radice nella parola che esprime la ripetizione (anche studiare si dice “ripetere”) e l’anno in effetto è l’inizio e la fine di un ciclo che si ripete ma, colpo di scena, la parola “shinui”, che da shanà deriva, significa invece cambiamento, introduzione di una variante, difformità. quindi l’anno, nella concezione ebraica del tempo, è qualcosa che si ripete nel cambiamento in barba alla sterile e noiosa ripetizione ciclica dell’eterno ritorno.

A rosh ha shanà si chiudono gli occhi e si guarda al futuro con gli occhi chiusi: solo così si può immaginare il cambiamento senza lasciarci schiacciare dalla realtà. perché, a differenza del punto di vista pagano, la realtà non è un ciclo – senza speranza – di ritorno al caos ma è una progressione, per quanto lenta, verso tempi migliori e un’umanità migliore.

Un processo che comincia dall’individuo, da ognuno di noi, un lavoro di riconsiderazione delle azioni passate, il pentimento per le azioni negative e e il proposito di eliminarle, precondizione per poter aspirare al perdono nel giorno di kippur che sarà fra dieci giorni.

A rosh ha shanà è usanza mangiare cose dolci ed evitare quelle aspre, a Roma, per esempio, non si mangiano cibi conditi con il limone, né l’uva perché gli acini hanno la forma delle lacrime. la tradizione prevede gli spicchi di mela intinti nel miele per propiziare dolcezza per l’anno che inizia.

Si mangia anche la melagrana che rappresenta il popolo ebraico, ma se vogliamo tutta l’umanità, tanti chicchi tutti stretti insieme, vicino vicino l’uno all’altro tenuti insieme dalla scorza: allusione al fatto che siamo legati tutti l’uno e che il cambiamento per essere davvero significativo deve riguardare tutta la collettività.

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